|
|
||
|
3
marzo 2014 A scuola di politica con la
riforma Gentile “Vogliamo
solo obbedienti!” sembra essere lo slogan della nuova (si fa per dire) scuola
di politica emergente anche nella nostra città. E si che il primo
obbediente si è dimesso appena cinque o sei mesi fa. La Storia non insegna
nulla a chi delega il proprio pensiero ad altra testa quadrata. D’altronde, nella vita si può crescere pensando da sé o si può
crescere obbedendo; è solo un problema di scelta e Termine, poverino, aveva
scelto di obbedire. Lo ha fatto, però, con umiltà, senza prosopopea, senza
millantare crediti, con la modestia tipica di chi ha coscienza dei propri
limiti. A suo disdoro andava il fatto di essere vittima volontaria di
un’obbedienza di terza mano: riceveva ordini da un valvassino, che aveva in
cuor suo la smodata ambizione di diventare, un giorno, feudatario. Ciò non
vuol dire che l’obbedienza di prima mano sia più dignitosa. Ora, sulla scorta di questa considerazione, va letta con altro
spirito la requisitoria (rileggi “Confessioni” 1, 2, 3, 4, 5) che il povero
Termine ha affidato a l’Ora della Calabria. Uno sfogo che alcuni dovrebbero
leggere come un monito, un insegnamento, un precetto forse ingenuo, tuttavia
utile, se non altro, a far riflettere gli elettori. Almeno quelli che non
vogliono ricadere nell’errore di eleggere depositari di pensieri altrui, che
non sono rivolti al bene della nostra città, ma alla propria crescita
individuale, per la quale San Marco è solo una tessera, non di primaria
importanza, nel complesso mosaico disegnato altrove e per altri scopi. Ma volontà superiori vogliono così, e quando mamma chiama, …… Ma, se alcuni “signori” della politica non hanno scelta al di
là dell’obbedienza, i cittadini elettori, al contrario, hanno non solo il
diritto, ma anche il dovere di compiere scelte autonome, per non rischiare di
vendere (se non, addirittura, regalare) la città ai primi furbacchioni
manovrieri, che le pensano tutte pur di impossessarsi delle leve che muovono
i destini del nostro splendido borgo, nobilitato da tanta bella storia e da
tante belle tradizioni, le quali non
possono diventare patrimonio privato di alcuno. Il pericolo è il condizionamento strisciante, il tentativo di
irreggimentare il pensiero, usando piccoli trucchi da illusionista. Con
l’aggravante di far sapere alla gente non una virgola in più di ciò che
risulta utile far sapere. Semplificando per sintesi estrema, la riforma Gentile (quella
della scuola, risalente al 1923) pensava che il cervello fosse un vaso da riempire con le cose che
voleva il riempitore, o che l’uomo fosse come creta da plasmare ad immagine e somiglianza del plasmatore. In
pratica, tutti dovevano pensare ed agire secondo la volontà di un padrone
assoluto, che non ammetteva repliche o disobbedienze. “OBBEDIRE”, per
l’appunto, era scritto in caratteri cubitali sui muri di tutte le case di tutti
i paesi, piccoli o grandi che fossero, affinché ognuno ne comprendesse il
significato palese e nascosto, ovvero, superficiale e profondo. Non vorremmo che l’obbedienza cieca tornasse di moda e che la disobbedienza
ai voleri del capo fosse punita con il manganello, reale o metaforico che
sia. E si che la scienza della miniaturizzazione potrebbe averne inventati di
così piccoli ed efficaci da entrare tranquillamente nel portafoglio. C’è da meditare tanto sul concetto di obbedienza. Si obbedisce
alla legge; si può obbedire ai principi religiosi; si obbedisce alla propria
coscienza; e poi, ai doveri di cittadino, di lavoratore, di genitore, di
figlio, di coniuge, e chi più ne ha più ne metta. Ma obbedire ciecamente ad
un padrone, quand’anche lo si sia scelto per indole servile o per
utilitarismo, non è dignitoso né eticamente comprensibile. Eppure, la strada brulica di servi che portano a spasso la faccia del padrone.
E lo fanno con orgoglio, con sicumera, con alterigia, con un’aria di
superiorità che non ha senso tanto è ridicola e, al tempo stesso, falsa e
posticcia. Buon pro gli faccia se ci guadagnano. Ma a noi che ne viene? Luigi Parrillo |
|
|