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aprile 2014 Il
totem È storicamente dimostrato che, presso alcune tribù locali,
avere un’opinione divergente da quella del volgo allineato, equivale a
commettere un reato di “lesa maestà”
(cfr. articolo de
“La Spiga” del 1995). Analogamente, parteggiare per qualcuno o per
qualche aggregazione più o meno condivisibile, vorrebbe dire esserne il deus ex machina, poiché la parola
(ovvero il diritto di usarla) ti catapulta immediatamente nel sancta sanctorum dei padreterni in
sedicesimo che, presso le arcinote tribù locali, rappresentano i totem
intorno ai quali si celebrano i riti più impensabili. Andiamo dalla danza
della pioggia al ballo del telefonino, dal fioretto del supermercato alla
penitenza col sacrificio della dignità, fino al pellegrinaggio con la
percorrenza in ginocchio al santuario del dio Ramarro. Tra le grazie più invocate, è in
prima linea l’apertura di un nuovo ospedale per godere della mortificazione
di un’altra chiusura sacrificale; segue l’invocazione
di posti di lavoro a tempo limitato, anche solo per la durata della campagna
elettorale; sono numerose le richieste di ottenere la scissione delle
contrade dal centro storico per farle diventare comuni a loro volta in modo
da avere un sindaco per ciascuna di esse; e non si contano le preghiere di
avere, almeno una volta a settimana, una taumaturgica pacca sulla spalla come
segno di benedizione, o una foto con dedica, se non un piccolo busto in
vetroresina, cui destinare un altarino devozionale accanto alla porta di
casa, sostituendo la statua della madonna o del santo protettore. Un po’ come
l’antico culto dei Lari e dei Penati. Ne preannunciano i miracoli alcune “vestali” che il lungo tempo
trascorso in adorazione ha consolidato nei ruoli e nei fallimenti
socio-economici e che, purtroppo, non sono servite di lezione a tutti quei
fedeli che ancora si attendono i benefici e le furbate di cui non ha goduto,
finora, neppure la ben nota, e ormai annosa, casta sacerdotale. L’unico
miracolo riuscito, a parte i successi economici personali, è quello di aver
fatto perdere la vista a tutti i suoi devoti. Nessuno di essi, infatti,
riesce a vedere quello che è sotto gli occhi di tutti e che i giornali
pubblicano con dovizia di particolari. Di capipopolo “perseguitati” è piena
la cronaca politica italiana e calabrese in particolare. È una casta che va
protetta prima che la magistratura ce la decimi – sembra affermare con forza
la folla supina che ne magnifica le qualità – E chi parteggia per altri è
fedifrago e blasfemo. Bisognerà inventare un nuovo tremendo inferno per
costoro. Mi tremano già le gambe al solo pensarlo. Ciò nonostante, io
parteggio per altri. Poiché il diritto all’opinione è sacrosanto. Se, poi, la
mia opinione potrà condizionare o meno quella di altri, è cosa che dovrebbe
intimorire chi avesse la coda di paglia. Né temo opinioni divergenti rispetto
alla mia, nutrendo, per indole e per formazione culturale, il più sacro
rispetto per quella democrazia che conferisce alle maggioranze il diritto di
autodeterminarsi. Gliene attribuisce contestualmente ogni responsabilità,
alla quale saranno da ricondurre tutti i risultati positivi e, purtroppo,
anche quelli negativi, che ad oggi sono stati, guarda caso, in numero
maggioritario. Ciò che la gente (diremmo meglio, il popolo) vuole è, per me,
legge. Ciò che i cittadini di San Marco vorranno, sarà da me accettato,
volente o nolente. Rimarrà nel mio diritto di cittadino e nelle prerogative
di persona autonoma e pensante, esprimere valutazioni e giudizi, ancorché non
in linea con quelli dei più, perché io amo la politica come scienza sociale,
ma la respingo fermamente come religione. Così come respingo, altrettanto
fermamente, chi a religione vorrebbe ridurla. Non è con nuove forme di
paganesimo che salveremo la società dai rischi di deformazione cui è indotta
da sempre. Luigi Parrillo |
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