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San Marco Argentano - Polis

 

 

6 ottobre 2013

Il ramarro

Oramai fa tendenza individuare il genere di alcune categorie di politici utilizzando, abusandone, una nomenclatura zoologica tutta da considerare: falchi, colombe, corvi (per rimanere in campo ornitologico), ma anche volpi, talpe, topi (mammiferi di riferimento piuttosto eloquenti), fino agli anfibi di rango elevato come i caimani. In questo caso, è meglio dire “il caimano”, dal momento che questo grosso rettile anfibio è un esemplare unico nella sua allegoria cinematografica.

A parte la pitonessa, che ognuno immagina avvinghiata alla sua vittima nel tentativo di soffocarla facendole venir meno il respiro per esasperata costrizione, l’idea del rettile come allegoria di un determinato tipo di politico, mi affascina e mi incuriosisce. Specie se il politico in questione risulta essere una figura longilinea e flessuosa, che meglio si attaglia all’idea dello sfiorare la terra sorniona e guardinga, articolando ripetutamente la lingua biforcuta e capace di sfuggire, con le zampe rapide e corte, all’avvicinarsi di una minaccia per la sua incolumità.

L’immagine di riferimento che più mi colpisce è il ramarro.

Descrizione: post-10687-0-41010700-1337282088Al di là della facile ironia da Settimana Enigmistica, ove volessimo giocare al cambio di consonante, il ramarro è un rettile nostrano, un grosso lucertolone di un verde smeraldino che sfuma, sulla testa, in un azzurro intenso, quasi blu, ottenendo un effetto verderame. E qui, anche cromaticamente, siamo nel bucolico per eccellenza. I vignaioli lo sanno bene.

Il ramarro è sfuggente. Ama la terra piuttosto che la roccia ed è nella terra che preferisce vivere. È lì che costruisce la sua casa (o meglio, che scava la sua tana). Nella terra sa nascondersi mimetizzandosi nei suoi elementi più bassi. Se cerchi di catturarlo diventa aggressivo e minaccia di mordere spalancando enormemente la bocca. Si, perché ha una bocca particolare che gli permette di inghiottire anche animali più grandi della sua stessa testa. Ma inghiotte solo animali vivi; i morti non gli interessano.

Ora, il caso vuole (e la storia conferma) che alcune tribù locali in via di estinzione, sull’esempio degli antichi egizi, che elevavano al rango di divinità alcuni animali come il falco, il coyote, il gatto, il coccodrillo, etc., hanno pensato di conferire carattere divino anche al ramarro. A lui chiedono, imploranti, protezione e addirittura miracoli nel campo della sanità, dell’economia, del lavoro giovanile e (inorridite!!!) persino della cultura. Ed attendono devoti e pazienti.

Su questo sfondo surreale, si muove la politica locale, ingarbugliata e famelicamente frettolosa dopo lo scivolone premeditato dell’amministrazione Termine. I cronisti dei giornali locali stanno facendo le loro fortune, oltre che una scorpacciata di Verta da un po’ di tempo in qua. Tra autoctoni ed immigrati, abbiamo dei Verta collocati in ogni direzione. C’è un Verta di qua, un Verta di là, un Verta di su, un Verta di giù. È un vertaio da vertigine.

 

 

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Stamane, poi, mancava la battuta finale. E ce la regala la Gazzetta del Sud con un titolo da “cartolina del pubblico” della vecchia Domenica del Corriere. Eccola contenuta nel titolo dell’articolo: «Termine restio a ricandidarsi».

Descrizione: Termine_gazzettaMa ve lo immaginate voi Termine che si ricandida? E con chi? Con gli stessi che l’hanno affossato? Quali e quanti elettori lo voterebbero di nuovo dopo l’esperienza appena fallita miseramente? Forse spera in un miracolo del dio ramarro. Ma gli dei vanno ingraziati con sacrifici ed offerte.

Al di là, tuttavia, delle ironie e degli interrogativi che suscitano gli scalpitii di questi giorni, avremo certamente di come non annoiarci durante l’autunno appena iniziato e l’inverno che seguirà. In primavera, poi, cioè alla squagliata d’a nivi…, quasi sicuramente riusciremo a vederci più chiaro.

Oggi, lasciamo che i giornali si sprechino nei pronostici e negli oroscopi, tolleriamo le supponenze, tra le più improbabili, che gratificano gli spiriti poveri, divertiamoci con le presunzioni fantasiose di chicchessia, ma non tralasciamo di tentare di indovinare le manovre nascoste di chi astutamente non parla, né in piazza, né sui giornali.

È dai silenzi strategici che prenderanno il via le mosse significative, così come saranno le maggioranze silenziose a decidere sulle sorti della città. Ed è nel silenzio intimo della cabina elettorale che ogni cittadino-elettore si assumerà la responsabilità (più pesante, questa volta) di disegnare il profilo del prossimo governo cittadino.

Ora come non mai, ciascuno di noi dovrà incominciare a riflettere sul passato, sul presente e sul futuro, per potere serenamente formarsi l’opinione più giusta e predisporsi a premiare con il voto la persona più adatta ad incarnare l’immagine della città, conferendole finalmente la dignità che merita dopo anni di oscurantismo socio-politico-culturale.

Ascolteremo il canto ingannatore di molte sirene e saremo bombardati da profezie le più rosee per il nostro futuro e quello dei nostri figli. Ci permettano questi signori di dire loro: «Abbiamo già dato! Senza ricevere nulla in cambio se non delusioni brucianti di cui si sentono ancora gli effetti.» Altri si lascino catturare in queste reti che, ormai, presentano molti strappi e pescano sempre meno.

E il dio ramarro non può chiedere ancora sacrifici umani.

Luigi Parrillo