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ORME di LUIGI PARRILLO Note introduttive di
MIMMA MITIDIERI |
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Proprietà letteraria riservata Stampato in Italia da Tipolitografia s.r.l. di San Marco
Argentano (Cosenza) - 1993 |
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Amia figlia, che mi significa totalmente. |
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PREMESSA |
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Usare le parole come un vetrinista, appendendovi talora, appoggiandovi
altre volte, affidando loro comunque i sentimenti, le emozioni, gli stati
d’animo cha fanno di ogni soggetto umano un essere vivo, energia in fermento
nel contesto sociale del proprio tempo, è ragione, molto spesso, di quella
attività di pensiero che, con un pizzico di presunzione, si definisce
generalmente “poetare”. Comporre versi, in ogni caso, non sempre vuol dire fare poesia
e, nella fattispecie, è soltanto una esercitazione mentale, un voler dare
alle cose un aspetto più accettabile: mettere i lustrini al dolore, togliere
le gramaglie alla morte, attenuare le delusioni, esorcizzare la sofferenza,
esaltare gli affetti, patinar d’oro il passato, sublimare i ricordi,
imprigionare la speranza, offrirsi, nella basilica del tempo, con la propria
corruttibilità fisica in contrasto con la immortalità del pensiero. D’altra parte, non sarebbe sciocco tumulare con i propri resti
quei residui di energia che non si sono dispersi nei fumi grigi del
quotidiano? Piccola “eredità d’affetti” questi poveri versi: sono
l’esultanza, i salti di gioia d’un pensiero adulto che non può più, per
sciagura d’anni, ritornare bambino; le lacrime “colte”, la commozione verbale
di fronte alla serenità di rari momenti idilliaci che illanguidiscono lo
spirito fino alla tenerezza estrema; l’esplosione disperata di dolori
strazianti, irreggimentati spesso nella costrizione delle “maniere”, ma che
sanguinano attraverso consonanti e sillabe animate da una penna irrequieta,
impicciona e pettegola, che non sa tacere i segreti più profondi e nascosti. Un diario inutilmente celato fino a ieri, dunque, e che oggi
disvelo a mia figlia, rappresentante, per delega di vita, delle nuove
generazioni e della loro fretta di crescere; un bisbiglio complice
all’orecchio di quanti vorranno, assieme con me, non perdere memoria di ciò
che è stato; un lungo sospiro su tutte le scene interrotte sul palcoscenico
della vita, con la presuntuosa, umana speranza di riprovare. L’AUTORE |
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NOTE
INTRODUTTIVE |
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Orme, tracce lasciate nel tempo che
scorre uguale e sempre diverso, segni indelebili in un cammino individuale ed
universale, frammenti di storia di un uomo e dell’uomo, momenti di un dialogo
aperto, che si rinnova, si estende, si libera e ritorna consapevole su se
stesso. Un fascio di liriche ispirate
dall’esperienza concreta e umanissima della gioia e del dolore, mossa da
anelito autentico di conoscenza, espressione di una sensibilità e di una
filosofia di vita che si sviluppa tra orizzonti consueti, ma sempre tesi alla
conquista di spazi esistenziali più ampi. Conviene dir “fascio” perché nate
come i fiori spontanei del territorio, cresciute all’ombra ed al sole del
luogo, maturate entro confini noti, curate e raccolte con laboriosa e
sapiente perizia. In ciascuna è un’occasione, un
motivo quotidiano, un volto, un paesaggio, un evento reale a suggerire lo
spunto, da cui trae alimento la situazione poetica, che si carica
immediatamente di singolarissimi accenti, trasfigurando idealmente ogni
tratto e liberando il vissuto, il razionale e l’inconscio a creare immagini
sospese tra la realtà e il mistero. Anche laddove il momento meditativo
sembra sopraffare quello lirico, alla scoperta di un universo ignoto, arcano,
inaccessibile, cui tendono il pensiero e lo spirito di un uomo mai pago,
animato da una fervida, genuina, nobilissima “curiositas cognoscendi”,
tuttavia mai la riflessione si impone
come dato puramente razionale e cerebrale, ma diventa prosa anche quando è
racconto, mai si nasconde al lettore, sotto la veste talvolta discorsiva, il
palpito sincero e libero dell’animo, e d’altre parte mai tale palpito è
smisurata e soggettiva passione. Il cuore è filtrato dalla ragione e
la ragione dal cuore, in un alternarsi continuo, sul piano del significante e
su quello del significato, di sentimento e pensiero, di silenzi e di suoni,
di luci e di ombre, la cui consonanza riflette il ritmo stesso, alterno e
composito, dell’esistenza ed insieme concorre all’espressione e comunicazione
di quello stato di febbrile tensione morale che è alla radice di questa
movimentata vicenda di un uomo e della sua vena lirica. Tensione di fronte al mistero,
bisogno di andare oltre, timore e speranza, fiducia e caduta, ed ancora «scintilla che […] bruci fra le ceneri di
un fuoco spento», desiderio di liberazione ed ansia di vita, «trasmigrazione dell’anima in più ampio
universo». Queste le note più intense e vibranti della poesia e
dell’esperienza di un uomo che non accetta catene, che non si rassegna
all’uniforme, al banale, al mediocre ed invoca piuttosto «il bacio della terza Parca al filo d’una vita senza accenti». Anche le parole, dettate, suggerite,
accostate al fine di coglierne un singolare, personalissimo “accento”, in
posizione visivamente e concettualmente isolata laddove più urga il motivo o
momento espressivo, con intenzionale omissione di elisioni e segni di
interpunzione, e le metafore ardite, i giochi verbali, le figure del suono e
del significato, l’incalzare del climax ed altrove, altrettanto incisivo, il
disinvolto anticlimax, l’amaro, sornione o sprezzante aprosdoketon, che
smorza il pathos ma accentua la suspence, concorrono tutti a sottolineare e
seguire il flusso intenso e sofferto del pensiero ed il fervido moto
dell’animo, quasi voce tra sé e sé, eppure sapientemente elaborata, finemente
cesellata e capace di dissimulare abilmente la dotta ricerca formale,
impreziosita dalla lezione dei classici, doviziosamente acquisita ed
umanamente assimilata, che non disturba l’orecchio poco edotto, mentre è eco
gradita, consapevole e viva per l’orecchio avvezzo e ben ammaestrato. E su tutto, il senso del tempo,
come entità preesistente alla deità (quale essa sia per un uomo la cui
“fideità”, ogni sua fides, è essa stessa deità), il tempo increato e
increabile, in cui tutto passa, che non ci attraversa ma che noi
attraversiamo. E la memoria, il ricordo, il ritorno, uniche spie e possibilità
dell’eterno, un eterno in cui crede, benché solo attraverso tali potenzialità
retrospettive del pensiero e dell’immaginario. Poesia delle piccole cose, degli
affetti familiari e consueti e al tempo stesso dei grandi interrogativi
esistenziali; poesia libera, semplice, quasi estemporanea e tuttavia oscura,
difficile, vaga, talvolta rarefatta ed evanescente, che dice e non dice, e
lascia libera l’altrui immaginazione così come è libera la sua ispirazione ed
il quotidiano vissuto cui attinge; poesia che parla al cuore e alla mente,
che invita a riflettere, ma senza artifici o sbarramenti culturali e sociali,
senza costrizioni o pregiudizi, bensì facendo leva sulle attitudini
individuali a sentire, avvertire, interpretare; poesia del contingente e
dell’universale, del comune e del paradossale, in cui i dati reali, concreti,
tangibili si contemperano e trasfigurano nella dimensione cosmica del vivere
e del pensare; poesia che taglia, che scava, che brucia, che non indulge alle
ferite del nostro tempo, anzi le sferza talvolta aspramente; in cui tuttavia
anche il grido che lacera e sgretola esorta a ricominciare ed a ricostruire «sui cocci»; in cui il dolore più
profondo e sofferto non è mai sconforto, disperazione, annullamento, non è
mai austero sgomento o sterile rassegnazione, ma ha in sé e riesce a
trasmettere una sommessa, serena speranza consolatrice, che fa capo ad un
equilibrio classicamente impeccabile e si esprime nel maturo dominio formale.
Spazio libero, aperto, altra galassia,
dove l’arte e la bellezza hanno una loro perenne dimora e ci turbano
potentemente, ma ci aiutano anche nella vita di sempre e nel nostro umano,
legittimo, necessario sognare. Spazio utopico, dunque, ma non
troppo, perché non è fuga, ma scavo, penetrazione profonda nelle pieghe
dell’essere, ansia di libera conoscenza, che non ha legami né supporti
logici, ma aspira ad una logica altra, gravida di verità; esigenza di
ritrovare un approccio mitico, senza facili risposte, ad una realtà che ci
affanna, ci tedia, ci angustia, ma pure ci affascina, ci commuove, ci chiede
consigli, ci esorta a cantarla. Si potrebbe osservare che in questi
versi nati da situazioni reali ci sia poco che assomigli davvero alla realtà,
poiché lo sguardo e la parola del poeta tendono, inconsciamente o
intenzionalmente, a trasfigurarla o a sublimarla, ostacolando ogni tentativo
di individuarvi un luogo definito, un volto noto, un momento preciso anche
laddove sia riconoscibile l’iter della vicenda biografica e lo sviluppo di una
cronologia che pure c’è, benché si dissolva nelle tappe di un pensiero e di
un canto senza spazio e senza tempo; ed allora è lecito chiedersi se, come
metodo, il realismo sia uno strumento efficace in poesia o non piuttosto un
limite, e se non sia invece compito dell’artista contribuire a far si che la
vita imiti l’arte più di quanto l’arte non imiti la vita. Certo è che qui, a voler leggervi
una visione o lezione di vita, dogmatizzata in paradigmi assoluti, si rischia
di affaticarne l’intendimento, di analizzarne
il momento lirico puro, di costringerne l’ispirazione entro schemi rigidi,
estranei alla sensibilità di questo uomo; è un dato di fatto che ci si trova
di fronte a significanti che possono assumere significati diversi, in cui, al
di là del messaggio che il poeta vuole comunicare, c’è quello che ognuno
recepisce per sé. Ciò non significa che, inseguendo
l’essenza, a lui sfugga il dato immediato o concreto, poiché anzi la forza
evocativa di alcuni indimenticabili quadretti, la suggestione di qualche estemporaneo
ritratto o acquerello sta proprio nell’evidenza plastica delle forme, nel
realismo pittorico dei tratti, nella successione talvolta filmica delle
immagini. Ed è sempre la parola il tramite
fra un piano ed un altro, lo strumento di passaggio da una dimensione reale
ad una astratta o ideale; la parola, che si carica di significati e funzioni,
che diventa elemento sonoro, cromatico, pregnante, che il poeta preferisce
isolare quando intende conferirle un senso proprio nonché in relazione con
quello che segue, quasi, appunto, come in un montaggio filmico, dove la breve
sequenza isolata abbia non solo valore in sé, ma riesca anche a preparare
quella successiva, la quale no può essere che la necessaria ed unica
conseguenza di ciò che è stato anticipato dalla precedente, seppure breve ed
apparentemente di scarso significato. In una società in cui la
comunicazione, in tutte le sue forme, ci sommerge, ci possiede, ci domina,
dove il linguaggio si carica di oppressività, si esaspera, si moltiplica e
l’espressione artistica sfrutta possibilità tecnologiche sempre più
accattivanti e coinvolgenti, capaci di interessare anche l’espressione
poetica, può sorprendere che vi sia qualcuno che inviti per un attimo al
silenzio e quindi all’uso pieno e consapevole del mezzo espressivo, qualcuno
che creda ancora alla forza insondabile della parola e dell’arte, che non
rinunci a porsi la domanda dell’essere ed alla ricerca di un senso «ove questi s’era perso». È qui una delle chiavi di lettura
di queste liriche; altre interpretazioni ciascun lettore, come è giusto e
opportuno, potrà cogliere da sé nelle pieghe del testo, che tuttavia non tarderà a rivelare ad ognuno come
l’interrogativo costante dell’autore, la sua vigile tensione emotiva, la
ricerca continua e perennemente inappagata di un approdo siano in lui
condizione totale, in quanto sia creativa sia esistenziale di un uomo che,
restio a vivere ai margini di una società senza centro, si impegna in essa a
ritrovarlo, perché padrone di sé e della sua solitudine, la quale non gli è
mai soltanto catena pesante e opprimente, ma che si sforza di trasformare in
adesione libera, piena ed autentica all’esistenza. MIMMA MITIDIERI |
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“Codesto solo
oggi possiamo dirti, ciò che non
siamo, ciò che non vogliamo”. (E. Montale) |
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1 Tracimano cascate di parole spumeggianti abbracci cerebrali ad esorcizzare intellettuali solitudini che mai si fondono col tuo essere donna Inturgidiscono i tuoi seni di madonna innati magnetismi che il pregiudizio offende e l’occhio e il fianco tradisce Tùrbina nel vortice dell’indistinto l’ali scomposte indecisa la viltà di tuoi condizionali Il dubbio preme sull'addome piatto delle voglie ignorate Il tempo implora d'esser colto ed immolato sul tuo altare di dea superba ché non sfugga la levigata fragranza del tuo incarnato Si fondono i pensieri il tuo il mio in caldi amplessi dai toni univoci stoltamente prudenti e cantano armonie d’antica prosa che solletica i sensi e fa vibrare l’ultimo diaframma teso ad infrangersi all’urlo della Natura |
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2 Liberandosi brucia e si contorce il fuoco del camino dall’abbraccio corto e dal respiro ipnotico che cattura lo sguardo Volteggia sugli arti monchi di lecci maculati e rugosi cerri rossa odalisca dall’infuocata nudità la fiamma Sui rami del mandarino tumescono sapori d’inverno succosi come il desiderio che la tua mano non coglie né la mia vili Tra le braci fumano odorose scorze d’agrumi e nei caldi effluvi si accende il pensiero di te |
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3 Percorro sulla pelle cesellate galassie di efelidi da suggere orbitando sulla costellazione di Venere Inseguo roridi aliti solari che tracciano i confini dei sensi Oltre il muro del reale esplodono cosmici orgasmi a liberare energie universali per amori folli e grandi illusioni nel nostro infinito |
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4 Il tuo sonno non coglie il silenzio soffice adagiato sui tetti da briciole alate di neve notturna che incotona le stimmate del tempo dagli aspri orli e scrostati sui muri dei vicoli antichi tiepidi di storiche umiltà Profuma di notte il lento del tuo respiro ritmo sopito e dolce scompone l’abbandono delle ciocche fulve negligenti sui pizzi vanamente preziosi del sofferto guanciale Invano si eleva la voce dell’anima ad insuperbire silenzi celesti ove si svela alta per alti sentire ove la carne si fa pensiero d’amore e travalica il tempo cui rapisce l’essenza E non coglie il tuo sonno la vertigine bianca che confonde il rincorrersi lento di cristalli di cielo tra i lampioni delle mille notti immobili di veglia intirizziti compagni |
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5 Cavalli alati le criniere al vento fili di rubino sulla luminosa cecità del mio volto muove l’amore sulla scacchiera della vita Sul nero e il bianco tenebra e luce notti e giorni e tormenti e speranze mobili alfieri sgranano il futuro sotto le torri di regina accorta che non vinta s’arrende per lo scacco al re |
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6 Preludi di sguardi dalle mute sonorità intese Tripudio di mani impazzite Soffocate preghiere bevute con rabbia nell’apoteosi di due corpi in concerto |
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7 Il piagnisteo imberbe di un violino acerbo raggela la mia sera inquieta raccolta in un pugno di stelle indifferenti sul mio sguardo perduto Pietosa marea di silenzi la notte serra le imposte sul lamento immaturo Nell’abisso ovattato s'empie il mio pensiero e spazia |
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“È peccato
pensare che tu non sia una vestale: sei entrata con
una sedia, come da uno
scaffale hai preso la mia vita e via ne hai
soffiato la polvere.” (B. Pasternak) |
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I Ho teso l’anima all'ascolto Un segno Forse Voglia di ricadere nel malessere d’amare Spegnere la sua voce esplosa vibrata alta sui righi della vitalità Soffocarla d'intesa Non parole Occhi come mani Corpi Amore a tutto tondo senza memoria senza confini Amore senza freni e senza guida Totale Viscerale Irrazionale Sia pure l’ultimo Ma che sia |
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II Tu E la scintilla diventa fuoco Io …ho freddo |
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III Noi Eroi silenti che lo stupore d’inatteso complesso stordisce Ma resiste l'avviluppo di civiltà al dibattersi dell’Io Strappiamo il primo velo e ci imprigioni a lungo il restante groviglio |
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IV Una storia nelle storie di noi Germe del nuovo nel vecchio di noi Il senso ove questi s’era perso Trasmigrazione dell'anima in più ampio universo |
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V Finestra aperta a nuovo giorno disperde il vecchio odore di stantio |
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VI Vorrei che tutto intorno diventasse cristallo per frantumarlo con il grido della mia anima E far l’amore sui cocci |
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VII Ho bevuto d'un fiato la luce del giorno fino a sera Ho fustigato d'insonnia una notte troppo lenta dura a sfumare nell’alba Ho violentato d'indifferenza i volti del giorno dopo carosello d’ignoti Ho spento inutile lo sguardo tu non c’eri |
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VIII Perle d'inesausto profumo evaporate respirate raccolte e disperse nell’ultimo brivido atteso Sopite forme di seta nuda nel buio che dirada e l’aurora che scruta arrossendo |
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IX A piccoli sorsi dosato bevuto gustato cercato sperato veleno che amaro le viscere stolte d’acuto dolore divora dilania corrompe inutile scotto dileggio d’amore alla gogna |
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X (Labirinto) Vince chi perde Io non voglio perdere |
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XI Raccolgo grappoli di parole dai tralci dell’egoismo per il trionfo della vanità |
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XII Chiedi alla terra di scuotersi fin nelle viscere e ingiuria con la tua ira il tuo borbottio imbecille Insegna all'universo come si muore da uomini odiando |
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XIII Sbuffa sbatti sberleffo è il tuo amore e mentre sbolle la tua ira di femmina ascolta il cigolio del tuo letto come il pianto d’una civetta sul tuo davanzale |
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XIV Fiume in piena il sesso straripa e annaspa la ragione nel violento naufragio dei sensi Poi resti sola sotto infertile limo al ritrarsi dell’onda che onta non sia |
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XV Se fossimo stati amanti da sempre t'avrei dispersa nel vento di primavera tra i ronzii diseguali che impollinano i peschi e raccolta ogni estate per morderti e succhiare nuova linfa con rinnovata sete di frescura Se fossimo stati amanti avrei sepolto nel tuo ventre ogni energia vitale sciogliendomi nelle tue vene per possederti dentro e percorrerti tutta negli umori vitali nei pensieri lontani Se fossimo stati ci saremmo bruciati nel fuoco dell’inferno che è desiderio eterno che è passione mai doma che è possesso violento che è rabbia carnale e piacere mortale avrei lenito le mie ferite in succhi di femmina avara tra brividi folli e membra contratte aliti rantoli grida Se fossimo… |
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XVI Perdermi nell'intrico che vela appena e totalmente svela il capriccio di Venere imbrattarmi del tuo piacere trasudato anzi tempo stordirmi sul turgore dei tuoi seni eretti mentre mi gridi la tua voglia mi percuoti col tuo ventre mi catturi nel tuo sentire Ritrovarmi sulla tua pelle che sa di donna tra i seni ansanti da mordere e lambire con nuova voglia Rubarti come un ladro a te stessa e lasciarti vuota involucro di te smarrita che chiede di sé e si ritrova quand’io mi perdo ancora |
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XVII Nuvole nere di rabbia il tuo cielo si addensa oscuro maschera goffa del sole che c’è tuttavia Stracci di nuvole al vento brandelli d’un vecchio costume di scena che il sole rismette versati gli ipocriti scrosci di lacrime consuete Metafore malacconce tradiscono il personaggio e l’attore compare dalle toppe sdrucite che cedono a brani a svelare l’arcano Chiudete il sipario! Domani si recita ancora Nuvole nere costumi di scena metafore sogni illusioni Fuori l’autore! |
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XVIII Un seme è un seme destinato a cadere semplicemente dal fiore o dal cielo escremento d’uccello |
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XIX A che uno che chiede quando c’è uno che prende? |
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XX Io ti respiro |
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XXI Nulla ho chiesto alla natura e sono nato Nulla ho chiesto alla vita e pure vivo Nulla ho chiesto all’amore e mi ha toccato A te chiedo catene per un uomo libero |
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XXII Ho ripescato nei ricordi dell’adolescenza i misteri dell’amore perduto e le pene le insonnie i furori per disperderli incauto nelle tue mani bucate |
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XXIII Crisalide assopita nel buio groviglio del tuo tessere imprudente fuga l’indolenza del tuo sonno pigro scaccia la pletora dei fantasmi galleggianti nello spazio vuoto delle tue finzioni La seta tessuta per altri è il filo reciso della tua vita di farfalla |
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XXIV Giorni come pagine uguali con la voce con il corpo scritte e con lo sguardo e con i segni Fiori sul tuo vestito per un desiderio da uccidere e un segnalibro per una pagina vuota |
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XXV Scorre il fiume di femminilità e ti scivola sui fianchi e spumeggia in cascate di sesso che riempiono l’aria Respiro aromi da brivido sulla pelle di seta e cresce la voglia come un demone folle che danza lascivo al roco affannoso pulsare del cuore Smeraldi sui faggi montani trasudano invidia per il verde di te rotondo e i rovi dalle more acerbe sfumano nei tuoi occhi che irridono gli attacchi d’amore Gocce di cielo tra i rami e tra le felci giochi di ritrosia a rincorrere inutili tempo e sospiri Fra le tue dita di giocoliere vaga il fantasma della mia felicità |
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XXVI Silenzi affilati e taglienti giocano tra le nostre dita che s’incrociano alterne e distratte nell’inquietudine dell’ultima giovinezza che traspira dalla pelle infuocata vanificandosi nella calura estiva Voglia e tramonto si perdono oltre la montagna per un’altra notte vuota Giochi d’ombre e di umore e di parole di senso forzato giochi d’affetti nuovi e verdi come le foglie ma non caduchi seni a piene mani che rubano il sonno spire d’asfalto luci di città che piovono malinconie di prima sera a rinverdire l’ultima menzogna |
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XXVII Profumi notturni riempiono respiri lunari nello stormire di tremuli silenzi Sull’orme del tempo si adagia rugiada di donna che rinfresca come canto studentesco vibrato e raccolto nell’unisono dell’adolescenza La notte fibrilla nell'ultimo velo di tenebra lacerato e dissolto dal canto del primo usignolo che modula il verso sul grido dei nostri fantasmi in fuga Langue nell’alba l'incertezza del giorno che cresce a smentire il tuo Io frettolosamente celato in logori brandelli di infanzia negata Così paghi non paga il prezzo di abbandoni caduchi monumenti alla memoria che è senza tempo ormai e senza volto Solo toni d’ambra rotondi e il presente di noi (di te se vuoi) ardono vita Il tempo era già prima e non perdona Non amarlo perciò Bevine l’anima E sii purché tu sia |
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XXVIII Riccioli di vapore sottili acrobati mattutini deridono esile la porcellana in cui ristagna l’ultimo cerchio di caffè amaro Riccioli rosso fuoco sublimano l’aroma dell’ultima goccia bevuta sulla tua bocca |
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XXIX Vagola il desiderio sulle forme intriganti come i venti d’autunno tra le valli ansiose di pioggia a scompigliare tra i rami pudichi le già inutili foglie Sfuggono tra le
dita aromi evaporati fra pieghe
sofferte di seta arancio come arcate
claustrali sui giardini
dell’eros Stilla il
sudore d'Afrodite quasi nettare da un fiore
maturo fra l’elitre
vibranti e sottili come calze di
seta onde si esalta il demone folle che spinge alla
tua porta |
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XXX Ho le palme ferite dal tuo sentire ma è l’anima che sanguina poi che disdice all’essersi non aversi in uno Già si disegna nelle cose i tratti del volere e pure sfuma nella ritrosia l’ultimo segno che sublima la carne Freme nello steccato della ragione il sé cattivo ostaggio dell’immaginario che falsifica il gioco irreale ed assurdo tra due sconfitti Sulle guglie della nostra cattedrale di carta sbiadiranno le ultime parole altre la tua memoria distratta perderà per via E le mie palme ferite dall'averti sentita recideranno ancora sui prati d’occidente i turgidi steli odorosi dei fiori del ricordo |
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XXXI Si sgranano in chicchi le nuvole gonfie ormeggiate sui vecchi tetti di cotto raffermo Risuona il ticchettio rimbalzante a ritmare gli inverni dai primordi Beve la terra ristoro dai grani disciolti mentr’io sui petali bevo della tua bocca un altro sorriso |
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XXXII Ascolto il canto delle sirene e la mia chiglia morde gli scogli tra la bava dei marosi ch’altri solleva e me sommerge prossimo all’approdo Vane le mani artigliano aliti di brezza gli occhi sgranano perle da sorrisi nolenti erto il timone regge inutile la rotta cede ai velacci l’albero di prua La mia nave delusa a brano a brano cerca l’abisso fino all’ultimo legno Sui flutti l’eco delle sirene galleggiante deride un polena |
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XXXIII Correva tra il rigoglio delle eriche come trine reggenti il seno lussureggiante delle mie colline d’estate il desiderio Un diluvio di sole tiranneggiava la natura già esplosa nei suoi colori in festa come la mia voglia Rabbioso digrignava il motore sbigottendo trasecolate spirali di strada montana Trasalivano sciami di vetture pigre che arroventavano il meriggio appena trascorso Cessò di sobbalzare il petto trafitto da uno strale di ghiaccio davanti al Grand Hotel |
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XXXIV … e a me non nascondi la tua coscienza stuprata quale vaso di Pandora che vomiti sentimenti dai contorni bizzarri e diseguali come ombre in corsa e tradisce capricciose metamorfosi nel cielo dell’estemporaneo Né ti parla il confuso sgomento nelle nebbie immobili dell’illusione come un muro molle che l’essere disgiunge e l’apparire Senza voglia soccombi ad un furore cieco che presta l’anima ai sensi e poi scompare oltre l’orizzonte dei tuoi ritagli di tempo come effimero atollo che l’ultima eruzione affondi … e a me non nascondi che l’estasi |
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XXXV Mi darai l’ultimo lembo di pelle quello che mai nessuno avrà baciato perché mi sia fardello nell’ultimo viaggio |
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XXXVI (Scarabeo) Tenero scarabeo dolce fra le trine preziose traboccanti del tuo respiro piccolo scarabeo felice ubriaco di piacere morbida perla neo |
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XXVII Candido appena mosso mare onde lievi e penduli ricami i tuoi fiordi adagiati e la mia nave ne lambisce le rive finché la stella della notte brilli e le dia porto si che lievi sogni amabili sconcerti ne trastullino i fianchi tra lieto sciabordio eco leggera di piccoli baci deposti sulla tua pelle |
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“… nel senso di morte, eccomi, spaventato d’amore.” (S. Quasimodo) |
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MEMORIE Abbiamo udito
le stelle cantare sotto l’abside
della notte Abbiamo visto
gli alberi danzare agitando le
chiome nel tempo degli
amori Abbiamo frugato le mani zelanti tra accesi
pallori al chiarore
lunare Abbiamo visto
il tempo rubarci la gaiezza ed il sole ingiallire il verde
dell’età Abbiam visto
morire i nostri vecchi e non solo… |
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LE VOCI Tutte le sento le voci dei silenzi antichi messaggere di
malinconia |
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NOI ERAVAMO Noi eravamo e quel che
siamo è per sempre |
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FRANCA Fu causa il quotidiano
dirimpetto ammiccato tra pregressi
ablativi o fu ragione la fragranza
lieve dell’adolescenza che impregnava
di sé ogni respiro? Fu forza il singolare
incedere o blandizia i sussurri
vocali o legame l’intreccio
delle mani o delizia il sapore delle
labbra? Per certo fu
sgomento il sospetto e fu più breve il sonno ed il distacco fi disperazione Era già amore e poi anch’esso fu |
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EPPURE AVREI POTUTO Eppure avrei
potuto non bagnare di
pianto gli scoscesi
scalini e consunti di pietra
grigia erta furtiva che la piccola
piazza giungeva con il mio
paradiso Lieve memoria cattura ancora nei recessi del
sogno le tue mani e per esse
l’amore fatto carezze e i seni nudi dal profumo
dolce d’infinito e te da bere fino all’ultima
goccia e la tua bocca gelosa delle
mie parole e il vento che non
scompone l’ordito in
fiore dello scarno
divano caldo di noi Sulle rive del grande
fiume in cui trapassa
il tempo frettolosa
muore l’eco dei
gorghi del passato e se antichi
profumi scuotono il senno
incanutito è crudele
illusione è miraggio nel sole del
tramonto L’ombre lunghe della sera non raggiungono
te sull’altra
sponda Più non sento
il tuo nome E non vedo il
tuo volto Né comprendo il
tuo grido (o il grido è
mio?) … ma è tardi … |
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A TUO PADRE Le mie
incertezze cantavano liturgie di
primo altare ai tuoi idoli
pagani insuperbiti dalla loro
sacralità rotonda |
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IL TEMPO E IL RICORDO L’alito del
tempo sulle dune
sabbiose soffia del mare del
ricordo e i grani
sottili ne mesta turbinanti ed
inquieti Né le dita discernono attimi cristallizzati che sfuggono
dal palmo per grave
destino d’oblio Poche le rocce
immobili e salde dagli acumi non
deflati che il pensiero feriscono abbarbicato e
dolente tormentato
dagli urli da cui mai fu
tradito Ne riverberi
l’eco il dio della
memoria oltre l’ultima
notte |
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CENERE Mille fuochi divampino
insieme e mille soli ardano la pietraia
delle lusinghe ove m’aggiro assetato io cercherò fra le ceneri d’un fuoco
spento la scintilla
che mi bruci |
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PIAZZA NAVONA Piazza Navona languida
carezza barocca sui segni
cicatriziali di giovanili
armonie proscenio
gorgogliante sussurri
plastici di pietra drammaticamente
inanimata che antico
sagrato ottunde nel silenzio
greve di deserta
penombra nella grande
navata solenne inferno di memore
spergiuro |
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RITORNO Intricate trame
di voli tessono nuova
stagione sui tegoli
assolati quasi vela
impalpabile che lo zefiro
gonfia sull’albero
maestro dai vecchi
bronzi cavi che a me
parlavano dolce giovanile
linguaggio Case dai grandi
occhi rifatti lieto sorprendo
a curiosare sui miei passi
deserti sommersi da
voci amiche non la tua amata Sotto i cocenti
tegoli riverso il vecchio
liuto risuona d’altro
canto e d’altre note che affrangono
d’estraneità ed io bevo il
mio pensiero disciolto in un
vecchio concerto in bianco e
nero che risuona elemosiniere
errante tra vicoli
sconnessi usci
dolorosamente serrati come scrigni
vuoti e volti stanchi
d’antiche allegrie Così la vita
m’attraversa fino all’ultimo
fiato che non so
dedicarti per amore |
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LA MIA VEGLIA È BREVE Insolente
memoria mi percuote sul
cuore con sferza
d’antichi crini olenti di
giovinezza si che strazio
e vita m’irrorino
dolente Poca luce in
residui palpiti promette ormai
la mia lampada e la mia veglia
è breve come intensa la
pena che mi spezza
le notti Sul tuo ricordo poserò la
fronte per l’ultimo
sonno si che il
sognarti non mi sia
tormento |
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VECCHIA SAN PIETRO Vecchia San Pietro serto di fiori eterni e d’affetti cinto da memore
canizie di chi t’amò per tutto t’offro il mio
desiderio d’antiche nenie notturne di voci ora
stanche e la malinconia celata nei
sorrisi dell’età che con lei
condivido e con amici onde memoria
s’allegra E tu ruba vecchia ladra
di sogni al tempo il suo segreto e in un
bisbiglio parlami d’amore |
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ECHI I ricordi si aprono ogni
estate vividi come i fiori
dell’ibisco che straripano dalla cinta
muraria per salutare la
risacca Segni sulla battigia d’un vecchio
alfabeto antiche parole senza più eco che la spuma
non dissolve Pensieri come capriole dietro
l’arcobaleno della memoria su cui
tintinnano invano cristalli di
lacrime sprecate da
tempo e profanano il
cuore geloso sudario ingiallito di amori
perduti Echi tra le rughe
del tempo come foglie
vizze in balia di
pacati furori autunnali vagheggiano
suoni d’altre
primavere e la lussuria
delusa dei frutti non
colti Nell’orgia dei rimpianti non c’è balsamo per ferite di vecchio
guerriero |
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CUORE LACERO Vecchio è il
cuore che veste i
panni laceri della
malinconia |
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QUOTIDIE Liba con me tra le pareti di cotanto
tempio sacerdotessa e vittima
prostrata sul tepore d’un soffice
altare di piume Leva il tuo
canto estatico che ritmi la frenetica
danza dei tuoi lombi nella calda
penombra Fremi nella
follia d'antico rito E nei sospiri singhiozzati con felina voce nel delirio
dello spasimo invoca il dio che ti
possiede e a lui domanda il dono
dell’eternità |
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IL TUO NOME Smarrito m'avvidi di
gridare il tuo nome Il vento lo
colse cullandolo sull’alte degli alberi come flessuose E vaga ancora nelle notti
chiare l’eco d’una
voce che si spegne |
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M. T. Rugiada lacrime di
cielo sui morbidi
petali dei fiori che per te
recido diafano pianto notturno che al sole
sfavilla perdendosi fioco nella luce dei
tuoi occhi |
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M. Fra cieli
sereni e nubi grevi di
pioggia la prima
stagione ritorna la terra
coprendo d’armonici
screzi di verde Rinasce con
essa nuova forza di vivere e desiderio
d’amare acceso dalla
gioia d’un incontro |
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ANGELA Non attardare Angela lo sguardo sui tristi
festoni del giorno dopo |
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A MARIA Sorridi Maria è alba di vita gorgoglìo di
sorgente soffio di
brezza timido passo fiore che
sboccia vagito di bimbo Ridi è giorno di
gioia festa di luci grida di
fanciulli crepitio di
galoppo fischio di
vento scroscio di
mare in burrasca urlo di
tempesta boato di terra
che trema Sorridi ancora quando il sole
al tramonto arrosserà il mio
volto e farà
crepitare per l’ultima
volta la fiamma dei
ricordi Né lacrime
darai al calice delle
tue notti fredde se mano
solitaria poserà stanca su vecchio
lenzuolo che fu alba di
vita gorgoglìo di
sorgente soffio di
brezza timido passo fiore che sboccia vagito di
bimbo… |
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8 MARZO Quando nacque
la donna l'Universo ebbe
un brivido nella schiena Vibrò d’energia
il sole e la sua luce la terra inondò ché la notte
non velasse nuova zolla di
cosmo Femmina Fecondità Furore Fuoco Fascino Forza Fantasia Fattezze Ferita aperta
nell’umanità che gronda vita nuova ed
inattesa come favola
incompiuta che il mondo si
racconta da sempre in un atto di
fede da essere
recitato per essere trasgredito Donna è … suono da
sentire con l’anima immagine da
vedere con le mani aria da
respirare coi sensi fiore da
cogliere più volte ultima frase dell’armonia
creativa prologo ed epilogo vita e non vita fatica e ristoro amore e odio condanna e perdono mezzo e fine Quando nacque
la donna l'Universo ebbe
un brivido nella schiena e con esso l’uomo |
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L’INVENTORE L’inventore
dell’amore inciampò sull’orlo del
pozzo dell’odio e… |
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LE DONNE CHE CONOSCO Le donne che
conosco allevano solo
animali di lusso Guinzagli
dorati Trespoli
d’argento Canti
stagionali Gabbie senza
porta per le donne
che io conosco |
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QUANDO È TEMPO Quando è tempo di perdere
tempo ella s’innamora e batte le palpebre come l’ali di
un fringuello e scuote
l’ugola come le foglie
argentee dei pioppi nella brezza
estiva a liberare il
canto della natura in
festa Quando è tempo di perdere
tempo egli sonnecchia sulle prime e si lascia
cullare dalla canzone e dal vento e la sua forza
si fa cosa L’antico
arciere incocca la sua
freccia Vibra come la
corda tesa la sua carne Poi la natura si fa profumo e si coniuga in
uno e s’inghirlanda e intreccia
fili di seta bruna e il canto si
fa coro e si confonde tra le bocche
ansanti e tace …quando è tempo |
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IL PARADOSSO Dai lembi
lacerati di ferita
d’amore sanguina tra mille
sofferenze felici il paradosso |
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ESTATE Schiocca sotto la ghiaia a riva l’estate calpestata dal
legno indiscreto degli zoccoli schiuma la risacca
ciarliera che ripete a
blandire dolcemente
acclivi morbidi tappeti di sabbia fine si azzurrano sogni ad occhi
aperti come sagome
all’orizzonte e il mio cuore si tuffa con lo
sciacquio lieve d’un piccolo
sasso |
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ROTAIE Binari eternamente
distanti per le ruote vorticose di questo amore sdrucciolo |
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SOTTO IL GRIDO DEI FALCHI Non una voce non una parola mani di
borsaiolo agili le dita ti riscoprono viva sotto il grido
dei falchi appesi ai raggi del
primo sole sui dossi
collinari verde giaciglio del tuo
desiderio |
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METEORA Stella cadente sul vecchio
mulino rasoiata di
luce che taglia per un attimo la cupola
trapunta d’una notte
d’agosto |
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IL PIANTO DI UN PIANOFORTE Gocce di profondo dolore imperlano i tasti di un
pianoforte che sparge
lontano nella notte la sua musica intrisa di
pianto |
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“Odi et amo.
Quare id faciam, fortasse requiris. Nescio, sed
fieri sentio et excrucior”. (Catullo) |
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Lunedì Il saltimbanco dell’amore si desta esausto al mattino Ripone la coda di pavone nel suo armadio tarlato da vermi ubriachi Sciorina spoglie di trina per asciugare l’inchiostro del suo diario |
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Martedì L’anonima comparsa indossa l’illustre doppio mento mollemente rasato cui l’adipe fa torto e la gola virtù Ignobile inquilino di letto coniugale dagli odori stanchi annega nel brodo freddo del suo quotidiano |
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Mercoledì L’animale sociale addobba la vetrina per dar mostra di sé Vagheggia in prima pagina il sesso clandestino di cui fu pasto e ne sottende le lodi da gentiluomo finto Non regge il gioco se la “signora” s’ignora |
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Giovedì Affina il capocomico la battuta d’effetto nasale come da copione Conosce il ruolo della primadonna uguale come le pieghe della sua nudità tremula malamente coperta di finti pudori |
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Venerdì Canta stornelli al focolare l'usignolo accecato a coda di pavone Blandisce gli orli sdruciti della sua coscienza rivoltandola nell’usuale talamo appena intiepidito da frettoloso calore inappagato |
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Sabato Il prim’attore in sala trucco seppellisce in un vaso di cerone i fili del suo burattino domestico Cede al travestimento e s’impiuma il servaggio profondo Cinge la spada Smette il bastone molle da clown bene |
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Domenica Farnetica a soggetto l'amatore di giornata Sventola come un mantello il suo ventre pendulo che gli occulta l’elsa della spada greve Incespica sul baratro d'un proscenio irridente e all’urlo di lei per avventura l’arma gli cade nella buca del suggeritore Ed è commedia |
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“Mi desto in un
bagno di care cose
consuete sorpreso e raddolcito” (G. Ungaretti) |
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IDA Presto cadranno le foglie amore mio ed il mio passo scricchiolerà sui viali ingialliti Io non sarò chiamato a respirare aure celesti e brezze supreme tra chiome d’argento berrò sfinito impenetrabili cieli di piombo fuso in fredde coppe di terra come i mortali Alla memoria cui è nemico il tempo sarà calice d’oro il tuo compianto |
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MADRE Ruota la Terra madre di sua madre nel misterioso immenso piccola sfera e grande per l’umanità che tutta la significa Eppure ancora la guardo con gli occhi dell’infanzia rivolti al seno che mi nutrì sazio d’affetti per cui mia madre è madre della Terra |
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FELICITÀ Frutto mai nato Fiore non dischiuso di sterile pianta Ombra di un’ombra Luce d’un cieco Ibrido incesto di illusioni e speranze Vana promessa dell'uomo a se stesso Miraggio mai apparso nel caotico deserto dell’esistenza |
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A IDA Né canterai la vita senza pensare alla morte né canterai l’amore dannata ad evadere dall’oggi per arditi salti nel buio D’uomini senza presente si falsifica la storia Tra memoria e speranza la vita è un breve nulla che la memoria uccide e la speranza aborte Così le strade non la strada s’apriranno grandi di loro incertezze e belle fino all’ultima luce che non ha distanza né luogo Sulle tue gambe giovani anch'io per ciò cammino e vorrei la tua meta Ma ti sarò più lieve come ricordo E me darai com’esca ai fiabeschi mostri delle tue storie e me com’arma E nel dolore di cui pasce l’umano per non umana perfidia partecipa d’una sola goccia di pianto una scheggia della mia pietra |
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L’OMBRA Ombra eclisse sacrilega forma senz’anima sagoma menzognera premeditata a rinnegar la luce che pur la crea Non conosce la notte poiché la nega il buio come l’eterno l’uomo che soffre il sole in vece sua e il vento e l’incalzare del tempo e degli eventi Infida e strisciante è irriverente come un giullare deforme che ingiuria il suo sovrano impotente e ne dissacra l’imperio ch’essa non ha e non espia Cade sulla sua ombra il guerriero abbattuto e di sangue la intride Dell’ombra si lusinga il non cresciuto al tramonto ed all’alba All’ombra del potente immiserisce il vile il cuore dilaniato dal rancore E l’ombra dell’amato è refrigerio al cuore in pena poiché l’amore vive di superbe menzogne Nell’ombra di se stesso si racchiude stanco l’uomo al traguardo come un vecchio atleta che rimette ad altri il testimone… …e l’ombra |
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LA MORTE Notte d'un lungo giorno di tormenti Epilogo funereo d'una storia fra tante Gelido soffio che il sole spegne quand’esso più splende Tenero dramma che cade inesorabile alle prime battute sulla scena del mondo Temuta attesa della saggia canizie ammanta tutto nel velo della notte Ma dopo verrà l’alba? |
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IL DOLORE Il dolore non è nelle lacrime poiché si piange anche di gioia non è nel lamento poiché questo è dei deboli non è nella luce poiché la luce è viva calda luminosa sfolgorante gaia Il dolore è nel buio è nel silenzio è nell’aria fredda della notte e lo respiro in solitudine perché io solo possa goderne e soffrirne Il dolore è mio |
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LA MIA PENNA Oceano fluttuante di suoni repressi a fatica dall’animo erompono violenti i miei pensieri Tace la lingua pensieri sublimi parole che mai labbro umano profuse se il volto vergato non fosse di tenere lacrime Rettangoli bianchi di carta fruscianti attendono ansiosi che parli loro per me la mia penna |
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MIO PADRE Ho smesso la livrea della verdità per baciare mio padre sul suo letto di morte È sparita nell'abisso dell’ultima ruga la levità dell’estrema carezza dal tepore stanco Ora ho voglia di soffrire ma è poca cosa l’affanno dell’essere |
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PIETRO Sul vecchio assito verde prateria scalciava la tua sedia al galoppo e il suo nitrito gonfiava d’allegria il tuo cuore di cristallo fragile come la tua infanzia Poi il sole si spense sull'ultimo schiocco di frusta a raggelare l’ultimo nitrito della vecchia seggiola orfana dei tuoi riccioli di miele Vagava ancora l'eco dei tuoi concerti inni alla mestizia d’ignota legge ingiusta quanto vana che volle serrati gli occhi tuoi quanto sbarrati i miei nello stupore lo smarrimento la disperazione Mi offrii sulle ginocchia di tua madre vano ostaggio e crudele al suo esserti morta Forse piansi forse …no Ma che importa? |
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CREAZIONE La costola divelta trasfigurò tradendo il sonno dell’ignaro Esplose nel turgore dei suoi frutti adulti l’albero della carne e il giardino fiorì Sciolse il suo grido la paradisea ed il rettile infido le sue spire L’uomo sciolse il suo cuore Versò il suo sangue il sole al tramonto austero e distante come un fuoco sacro Nelle pieghe della notte Dio ingravidò la natura e concepì il dolore |
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LA MELA Le nostre libertà le voci eterne nei pomi imprigionate dell’Eden da primaria follia e le nostre vaghezze onde hanno senso le stagioni e la vita e il suo non essere più e la scienza che coglie il sentimento e dà nome ai profumi e penetra le cose il mistero erodendo fino alla soglia dell’Amore tutto con un brivido esplose al primo morso tra due labbra di donna |
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INCOMINCIARE A VIVERE Alla sera del settimo giorno Jahvè si ricordò del giorno avanti e conobbe l’ansia del lunedì |
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FRUTTI ACERBI Un po’ tutti cogliemmo frutti acerbi ma noi non siamo Dio! |
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“Scimmie umane cadute dalla vulva materna, la nostra ragione opaca ci cela l’infinito!” (A. Rimbaud) |
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INFANZIA Lucciole d'eterna
primavera brillano palpitanti d’ansia immortali gli occhi
dell’infanzia primi chiarori d’irrequiete
aurore vocianti sul dorso cieco del chissà Molecole
d’eterno pensiero da pensiero svelano il dopo e il sempre |
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GIOVANI Semidei
ubriachi di gaiezza gli aurei
crateri protesi alle fonti del
tempo ambrosia
evanescente antidoto per illusoria
deità che sa d’umano quanto l’uomo e l’amore e la morte |
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LE MANI SUL
MONDO Imporre le mani sul
mondo e sentire la musica
dell’uomo vibrare sotto le palme e percepire il
fuoco dell’amore e dell’odio Respirare profumo
d’umanità che sa di sesso e di polvere da
sparo che l’incenso
non copre Soffrire tra l’indifferenza il freddo della morte per
indifferenza Ritrarre deluse le mani da un mondo
troppo piccolo per nascondere
l’uomo |
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L’UNIVERSO Dai davanzali
del cielo l'Universo s’affaccia le umane
amenità contemplando e le disumane
barbarie atroci colori e tenaci del nostro
orbitare Sull’uomo si
addensa ancestrale fiabesca
onirica bufera di mature
infanzie spaurite che lascivie
d’arcangeli asessuati cui fu destino libidine di luce e prevalenza sconcerta Tra cherubini dalle gote
gonfie sulle trombe di
guerra vibrano le
antere della Grande
Corolla ermafrodita che si
autofeconda a perpetuare il
Mostro Dai davanzali
del cielo contempla
l’Universo il senso morale |
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FALCONE Si interrompe
la strada a mezzogiorno si sbriciola in
frantumi di cristallo il tuo essere
giusto e più non è la tua voglia
di utopia Gronda il tuo
paradiso di sangue
giovane non ancora rappreso che scorre come lava del
Mongibello che tutto
trascina ed incendia fuor che cuori
di Sicilia Aliti immondi impastano
parole senza senno fuor da bocche
cucite e visi senza
volto Grida
indistinte profanano il
silenzio d’una toga vuota prostrata a contemplare l’estremo
abbraccio tricolore Ciò che è stato è Stato ed a tacere siamo tutti
Capaci |
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GRIGIO Sia grazia il bacio della
terza Parca al filo d’una vita
senza accenti |
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AUTO BLU Auto blu Corteo infame Volti coperti Fiori di sangue per l’onore
d’Italia |
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POLITICA DI
PERIFERIA Ridonda di
inutile la magica sfera dell’incolto nell’orbita
contorta dell’universo
finito del pattume sociale Sfuma il non
senso nella ruota
eccentrica del sussiego dalle mani
adunche sorrette dal
digrigno della fame per avidità Più non
lasciano traccia antiche probità centrifugate con dolosa foga e malamente
affisse sui muri della
storia Il delitto fa
scuola e malaccorta
genia d’apprendisti ne divulga
dottrina Ma seme d’uomo sa diffondere
il tempo |
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IL RAMPANTE Sui roghi della pubblica
opinione brucia incatenato al
potere “l’apprendista
stregone” |
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QUESTIONE
MORALE Deputati sputati in
Parlamento dalle coscienze
pigre di elettori
distratti volteggiano destri
funamboli danzanti sulla schiena
molle dell’agnosia come fauna
circense di malfidata
lana cui fa d’uopo
la gabbia dopo l’emiciclo |
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L’ASSESSORE Useremo riverite penne di tacchino intinte
d’inchiostro incolore per risparmiare
ai posteri secchiate di
stilemi storpi dai suoni
casuali evanescenti
oscenità verbali di senso raro involontaria
satira di sé Da poco tanto niente conferma
nullità che pur si
svela nel suo essersi
tutto tra effluvi di lubrica
vanità contraccettiva Stupisce la Fortuna
inerme Corre verso il futuro sulla sua ruota di tacchino l’Assessore |
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PER UN MALVAGIO Vomito d'istero
incontinente che tradisca lo sputo
casuale d’abitudinaria
verga analfabeta è già cancro in metastasi nella città che
soffre di vergogna |
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Finito di stampare il 16 settembre 1993 |
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