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La città politica (e non solo) alla luce del pensiero divergente |
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19 luglio 2021 Un pugno in una carezza (ovvero “Un calcio in culo”) Ho rovesciato il titolo di una nota canzone degli anni
sessanta perché mi è parso che la cosa rendesse l’idea. Due mesi fa,
comunque, in presenza dell’articolo in immagine, datato dalla Gazzetta del Sud
5 maggio 2021, ho convintamente espresso un sentimento di amarezza, ma,
credetemi, nessuna soddisfazione per l’epilogo di una lunga storia, reiterata
nel tempo, con l’ingenua, spregiudicata o incosciente speranza di una
impunità di fatto di fronte alla generale disapprovazione. Né la
pubblicazione di una sentenza di condanna aveva provocato il benché minimo
batter di ciglia nel ricevente e nel suo entourage.
Solo una piccola parte dell’opinione pubblica sollevava timidi rumori e
sommessi brontolii, certa anch’essa, probabilmente, di una ingiustificata
quanto possibile impunità che non è estranea al mondo della politica. Sì, perché se io ti tolgo materialmente due euro dalla
tasca, tu mi insegui per bastonarmi lanciandomi dietro le peggiori invettive
e le meglio parolacce offensive; ma se mi approprio di centinaia di
migliaia di euro della comunità e tu non vedi con i tuoi occhi la mano che li
sfila fisicamente, rimani inerme senza reagire, senza esprimere un giudizio,
come se quel denaro fosse non tuo ma soltanto del tuo vicino, del quale
probabilmente ti frega tanto quanto niente. L’ironia, però, consiste nel
fatto che tutta quella mole di denaro me l’avevi affidata tu, me l’avevi
messa tu nelle mani perché la custodissi fino al giorno in cui l’avrei spesa
per te e per il tuo vicino, cioè per la comunità. Vogliamo fare un piccolo esempio? Quando all’ospedale
serviva un po’ di quel denaro, non ce n’era più, era sparito, era stato
“utilizzato” in un altro modo che la Corte dei Conti non ha condiviso ed ha
condannato senza riserve. E tu stavi zitto perché forse eri convinto di non
aver mai bisogno di un ospedale vicino casa. Poi è accaduto che hai preso il Covid e l’ospedale non c’era più. Ora quel denaro verrà
probabilmente restituito, ma non servirà più per l’ospedale, che ormai è
andato a farsi fottere. (Perdonatemi il
turpiloquio, ma quando ci vuole, ci vuole). Ora, dopo due mesi di incomprensibile silenzio, il
gruppo consiliare di maggioranza, mentre quello di minoranza attende ancora
l’oracolo della dea Minerva e della sua civetta, si sveglia di soprassalto
dal lungo letargo durante il quale si è nutrito di non si sa quale stato
d’animo o atteggiamento interiore. Connivenza? Complicità? Pusillanimità?
Sudditanza? E chi lo può dire? Io non mi arrogo il diritto di stabilirlo:
sono fatti che afferiscono alla coscienza individuale. Si sveglia, però, con un atto che, nel tentativo non
riuscito di rivolgere una comprensibile carezza consolatoria, infligge una
sferzata durissima al già condannato assessore Serra, al quale dicono, senza
mezzi termini, «O te ne vai o ti cacciamo via a calci nel culo!» Perché il senso del verbale del quindici luglio appena trascorso non lascia dubbio alcuno
di interpretazione: vattene perché hai contaminato l’integrità di questa
Amministrazione. Il verbale rivendica una “valenza
etica e politica” per “tutelare
l’immagine del Comune, della cittadinanza e dell’intero gruppo consiliare”, che
esprime “condanna in merito alla
vicenda di cui si discute”. Se si prende in considerazione la qualità del gruppo
firmatario, che annovera nel suo corpo persone che della parola fanno
mestiere in chiave giudiziaria (avvocati, voglio dire), le frasi appena
virgolettate hanno un peso notevole sia sul piano formale che su quello
sostanziale quando affermano, per esempio, che chi subisce condanne nella
qualità di “amministratore” della “cosa pubblica” non possa continuare a ricoprire incarichi istituzionali quale
componente dell’organo esecutivo di un ente”. Altro che legge Severino. Qui lo si butta fuori a vita
dal Comune o da altro ente istituzionale. La Sindaca, prima firmataria del documento, ha finalmente tirato su il mento e fatto gli occhi feroci.
Riuscirà ad incutergli timore? Lo vedremo. In ogni caso, c’è, a mio parere, un difetto di forma
in questa procedura. Sarebbe stato più appropriato, secondo me, che la
sindaca in persona avesse convocato il suo pluriassessore a quattr’occhi –
come si dice comunemente – e, con un discorso franco e coraggioso, lo avesse
indotto ad assumere le decisioni politicamente ed eticamente più corrette; ma
nello stesso giorno in cui era venuta a conoscenza della condanna, non dopo
due mesi. Oggi, la pubblicazione di un documento così pesante sembra l’esibizione di un moralismo di maniera
giusto per salvare la faccia di fronte alla gente. E la gente, a questo proposito…? Beh, quella aspetta. Aspetta di vedere se e quando il cavallo, ormai
azzoppato, verrà condotto al mattatoio da quegli stessi che fino ad oggi ha
portato in groppa o trascinato su un carretto piuttosto affollato e che, da
questo momento in poi, non vorrebbero più utilizzarlo nemmeno per far girare
le pietre del frantoio; senza contare che una scuderia orfana farà gola a più
d’uno. Ma la vita è così: basta uno scivolone in pubblico, una caduta
scomposta, e molti esprimeranno il proprio ringraziamento per aver
risparmiato loro il fastidio e lo scrupolo di doversi produrre nel classico
sgambetto. Così gira la ruota, mentre i puledri si affannano a
sgambettare festosi sul prato delle ambizioni. Ma verso quale futuro? Luigi Parrillo |
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