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La città politica (e non solo) alla luce del pensiero divergente |
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1 aprile 2019 Quannu u ciucciu ‘un vo’ acqua… Le ragioni per le quali si tace, o ci si impone di tacere,
possono essere innumerevoli: esse vanno da cause di forza maggiore a ragioni
di opportunità o, se si vuole, alla condivisione del principio in base al
quale sarebbe perfettamente inutile offrire occasioni di riflessione a chi
della sordità interiore ha fatto un modello di vita. “Quannu ‘u ciucciu ‘un vo’ acqua, avoglia ca fischi!” È il primo aforisma dialettale che un caro amico mi ha riportato
alla memoria quando, alla sua domanda sul perché del silenzio prolungato di
questo sito internet, ho fornito come risposta, non più tardi dell’altro
ieri, un ragionamento che ricalca alla perfezione l’incipit di questo
“articolo”. E però, l’episodio mi ha
stimolato e non poco. Infatti, eccomi di fronte ad un foglio bianco pronto ad
accogliere una serie di parole ordinate per frasi e periodi, che chi volesse
potrebbe provare a tradurre in concetti di senso più o meno compiuto. Da rivolgere a chi? Non importa. Nel mosaico sommerso [velato, se
preferite] di sussurri strategici, orientati verso il parto plurigemino della
futura classe dirigente della nostra città, non vorrei che risultasse di
disturbo un discorso aperto, pubblico, a voce alta, non contaminato
dall’antica muffa del complotto o del “fregacompagni”. Nell’ultima domenica di maggio,
salvo stravolgimenti normativi, la gente [non uso scientemente termini
impegnativi come cittadinanza o popolazione] sarà chiamata ancora una
volta a “scegliere” il governo
della città. Scegliere, cioè, quale faccia dovrà avere la nostra cittadina,
visto che il governo di una città si traduce inesorabilmente nella faccia
della città stessa, nella sua fisionomia. Il visitatore che viene da fuori è
portato immediatamente ad indovinare il tipo di amministrazione civica da
quello che vede non appena si immerge nelle trame del tessuto architettonico
della città, nell’ordine del suo traffico, nella pulizia delle sue strade,
nell’efficienza dei suoi servizi e, non ultimo, nel comportamento della sua
gente (che sia postura, dinamismo, civismo, ottimismo o rassegnazione,
autonomia o insicurezza, risolutezza o indolenza, ricchezza o povertà di
linguaggio e chi più ne ha più ne metta). Perché tutto ciò è in netta
connessione con il governo della città; c’è un rapporto inscindibile, una
corrispondenza biunivoca di causa-effetto. Ora, tutto ciò premesso, chi è
pronto a mettere in campo la propria faccia dopo averla attentamente
osservata a valutata attraverso lo specchio dell’anima? E se l’anima non
dovesse essere limpida, ma offuscata dalla nebbiosità di eventi sospesi nella
“verità” del giudizio degli uomini,
quale immagine sarà restituita agli occhi dello sciagurato osservatore, che
probabilmente non riconosce altro termine di confronto se non se stesso? Il fatto è che se ne cominciano a
sentire di tutti i colori. Quanti colori! Provate ad immaginare una tavolozza
con mille macchie dai colori più impensati. Ed un solo pennello. Sapreste dipingere voi il ritratto del volto della città adoperando
mille colori ed un solo pennello? Magari un pennello usato già più volte, che
si è anche spelacchiato negli anni ed è maleodorante per l’acqua ragia e
l’olio di lino o la trementina in cui si è inzaccherato più volte? Un
pennello che non dipinge più: macchia! Tuttavia, c’è gente pronta a
scommettere che, macchia su macchia, il quadro verrà fuori, magari senza
riflettere troppo sul fatto che la parola “macchia” ha mille significati e
una serie infinita di allegorie, per cui, con la buona pace dei macchiaioli
nell’arte figurativa, aggiungere macchia su macchia potrebbe risultare un
pessimo affare per la città, altro che un’opera d’arte. Fortunatamente, siamo ancora ai rumors, ma se è
vero che il bel tempo si vede dal mattino, c’è poco da stare allegri. Luigi Parrillo |
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