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La città politica (e non solo) alla luce del pensiero divergente |
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28 maggio 2019 Ecce ancilla
domini Così l’ancella fedele serve ancora nel palazzo. E
rinnova gli aromi e gli unguenti per il bagno dell’imperatore. Lasciati fuori
gli schiavi meno illustri per volere della plebe silenziosa, il resto si
asside in consiglio e non leverà mai gli scudi contro il sovrano: alzeranno
al cielo le mani (pena l’amputazione) in segno di premurosa e supina
obbedienza. Minerva ha fatto scendere
sull’emiciclo (quasi come lo Spirito Santo) il suo uccello simbolo: la civetta,
così che il suo lamento notturno tenga sveglia la torma acquartierata alla
bell’e meglio in retroguardia. L’imperatore percorre in lungo e
in largo la sala con passo nervoso: non si fida dei centurioni, né gira loro
incautamente le spalle. L‘ancella li tiene a bada con il suo canto (si fa per
dire) mentre guarda estatica il dio nelle pupille e sorveglia affinché non
subisca attacchi da tergo. Le comparse fanno scena, riempiono gli spazi
inutili, immobili come i loro neuroni in progressiva decadenza negli encefali
dalla dimensione inversamente proporzionale alla loro massa corporea. È appena stata sventata una
congiura in tempi rapidi. Ma si sa che non occorrono armi speciali o
strategie complesse quando si ha a che fare con congiurati che giurano fedeltà
a giorni alterni. Non c’era Spartaco a capo della rivolta, né gladiatori di
rango e di valore. Solo qualche liberto a digiuno da un po’ di tempo verso il
quale è bastato agitare un ramo di corbezzolo per attirarne l’attenzione e
spegnerne gli appetiti plebei. Non poteva che svanire un sogno di libertà
innaturale per taluni soggetti. E l’impero continua la sua storia
simboleggiata da una statua di sale sulla quale riporre, come effimera
decorazione, la corona di alloro che cinge di fatto la vera testa imperiale.
I generali, in cuor loro, ne attendono la decadenza anche se hanno accettato
il reclutamento di truppe mercenarie a protezione dei confini. Allora, ecco l’ancella fedele, mediatrice PD (Per
Devozione), chiamata a svolgere il ruolo di coppiera nel convivio di palazzo,
che tra schiavi, liberti e clienti, darà sollievo agli occupanti dei triclini
“allineati”. Il miraggio dell’impero ha sempre
affascinato i sognatori del potere, che traggono la loro forza
dall’accondiscendenza dei subalterni, vittime travestite da potenti,
obbedienti che fingono autonomia di pensiero e potestà decisionale, coscienze
soffocate per contratto. E contenti persino. Sono gli equilibri di una vita e
di una società che andrebbe riconsiderata. Liquida, direbbe il filosofo.
Aeriforme, diciamo noi, dove queste molecole umane sono pressoché invisibili,
volatili, trasparenti. Sono presenti perché lo sai, ma impercettibili ai
sensi, sì da non capire se ci sono o se non ci sono. Dunque inutili, se non a
chi ne custodisce l’idea. In politica volano, sbandano, si mescolano
ad ogni soffio d’ala. E alla luce di queste capriole funamboliche l’elettore
prova sconcerto, si confonde con lo sguardo perduto nel vuoto, lo stesso
vuoto verso il quale indirizza i suoi consensi nella speranza che si riempia
di qualcosa. Ma percepisce soltanto echi. Echi di parole senza senso,
rotolanti come barattoli vuoti, cha fanno soltanto rumore, rumore,
rumore……non altro che rumore. E rumore è tutto ciò che rimane. Luigi Parrillo |
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