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La città politica (e non solo) alla luce del pensiero divergente |
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31 agosto 2018 Il nuovo e la confusione In molti si assiste con sgomento
alla grande confusione che regna nella politica nazionale. L’improvvisazione
colpevole e la determinazione egoistica degli uomini e delle donne di governo
a tener viva e sulla corda una campagna elettorale perenne, oltre a non
prendere in considerazione il rischio di trascinare l’Italia in una spirale
di perversione socioeconomica spaventosa, hanno sollevato una nebbia così
fitta da far perdere quasi totalmente di vista le componenti di molte realtà
locali che, come la nostra, si stanno disgregando nella routine di un
quotidiano senza slanci e senza prospettive. E senza colore! Sembra che l’unico colore degno
di interesse sia quello della pelle dei migranti, che, allo stato delle cose,
appaiono agli occhi miopi delle maggioranze incolte e allineate il vero,
unico, grande problema del nostro Paese. Eppure, molti “eterni migranti” di dubbio colore
vagano sul territorio sotto lo sguardo distratto dei followers per vocazione, che ne
percorrono e ne utilizzano la scia in attesa di una briciola da raccogliere,
un osso da spolpare, una macina da far girare con o
senza paraocchi. Per essi la vita è una eterna campagna elettorale, che
significa lauta sopravvivenza da una parte, e dall’altra, il tirare a campare
nella pia illusione di uno strappo alle regole, uno sgambetto al malcapitato
di turno, una spallata irregolare al concorrente che gareggia per una
pagnotta senza companatico. È la vita frenetica del
sottobosco “politico” (si fa per dire), che si articola nelle trame non
visibili ai benpensanti, ma che tuttavia si tessono strette fino a comparire,
a tempo debito, come tela robusta, come il panno verde del gioco d’azzardo
sul quale il denaro va e viene, ma finisce per impinguare il banco, vero ed
unico vincitore. È la metafora della politica per mestiere, che sopravvive
sulle speranze deluse dei poveracci. È il tarlo che corrode il legno antico
delle periferie non attrezzate culturalmente. È il digestivo amaro di chi si
nutre prevalentemente di social network, abbondantemente conditi di
disinformazione becera ed intenzionale, veicolati con linguaggi così
barbaramente scomposti da far piangere di vergogna persino una statua di
pietra. Cresce così la confusione, il
disorientamento, lo scompenso mentale che va alla ricerca del predicatore
facile, dell’imbonitore, dell’illusionista da palcoscenico, del facilitatore
che ignora i meccanismi complessi della politica vera, il guappo contradaiolo che agita il dito
sotto il muso di nemici immaginari, il capopopolo di cartapesta tenuto in
piedi dalla dabbenaggine e dall’incomprensibile consenso generale. Ancora una volta i fatti cedono
il posto alle parole, un grumo di parole da commedia dell’arte, che si
sbriciola come il ponte di Genova e lascia un vuoto tanto più difficile da
colmare quanto più violento sarà l’urto del disastro che inevitabilmente
provocherà. Ma le maggioranze votano parole,
suoni sgradevoli che producono rumori senza eco per orecchie incolpevolmente
non ben educate e ormai aduse a sproloqui il cui tono di minaccia o di
ricatto si perde in un universo senza tempo, perché effimero come l’arco di
vita di un lepidottero. Così, nei quasi ottomila comuni,
che l’Italia raggruppa nel loro disordine campanilistico, ci si articola come
un in immenso formicaio alla merce’ degli scarponi grezzi del calpestatore
caparbio e sfrenato, che ha la sensibilità di una scheggia di pietra. Il
resto è un contorno dal sapore scialbo e dal gusto indefinito; è un elemento
che c’è perché vuole esserci, ma si scioglie nella prepotenza dell’acido
corrosivo versato dai neo-barbari dalla connotazione sociologica poco più che
tribale. Ma c’è qualcuno che si mette di
traverso? Ci sono persone determinate ad opporsi di fronte a questo scempio?
Se si, come, quando, dove? Ora, in attesa di risposte,
facciamo un discorso di ecologia politico-ambientale (ovvero pensiamo – come
gli ecologisti - globalmente, ma riflettiamo localmente). Allora, si rivela
opportuno chiedersi: “Cosa succede da noi, nel nostro ristretto perimetro territoriale?” Anche qui i colori vanno
sbiadendosi, per l’intima soddisfazione di chi un colore non l’ha mai avuto.
Qualunquismi populisti sembrano prendere piede per convogliarsi in
quell’insipido contorno cui si accennava poc’anzi. Né ci stupiremmo di ripescare,
prima o poi, in questo brodo primordiale, figure “di spicco” della politica
locale pronte, come al solito, a cavalcare l’onda, disperdendo nella sua scia
tutti coloro che considera scorie inutili per il loro proprio progetto
edonistico-politico-utilitarista. Spesso mi chiedo se vale
riflettere su queste cose e parlarne, denunciarle sentendosi tanto vox clamans in
deserto. Mi scopro, talvolta, come una voce stonata, fuori dal coro,
visto che l’allineamento generale sembra assumere tono e forma variabili a
seconda dell’indirizzo del capofila. Un gregge? Non oso dire tanto. In ogni caso, sporgo la testa, di
tanto in tanto, dal cumulo degli anni che mi ricopre e tento di ringiovanire
liberando il pensiero al di là di questa realtà che mi soffoca nell’intimo e
mi riporta idealmente ai valori della mia filosofia politica e sociale, che
ancora si erge come faro, come punto di riferimento culturale, come modello
di vita, come monito etico e morale, come fiaccola che illumini gli ultimi
passi della mia esistenza, come antidoto efficace contro i veleni
dell’imbarbarimento etico-politico-sociale. Sinceramente. Luigi Parrillo |
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