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La città politica (e non solo) alla luce del pensiero divergente |
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3 giugno 2016 Quando la scuola sposa il palcoscenico Quando la scuola si sposa consapevolmente con il teatro,
offrendo prodotti degni di nota e di considerazione, è segno che la qualità
dell’azione educativa ha raggiunto livelli di intuibile eccellenza, che inorgoglisce
alunni e docenti, fattori dell’educazione, tesi a dare un senso alla sinergia
che dà vita alla scuola stessa e la riafferma, ove ce ne fosse bisogno, quale
istituzione primaria nelle società di tutti tempi. Ci sentiamo di dire, quindi, che il palcoscenico è il
meraviglioso crogiolo nel quale cercano e raggiungono l’amalgama le
componenti complesse dell’istituzione scuola, sorrette da un catalizzatore
essenziale qual è il teatro nella sua concezione più alta. È il teatro,
quindi, il riconosciuto fattore dell’educazione che dall’antica Grecia a noi
(e chi più di noi, eredi dei coloni magro-greci?) conferiva al cittadino le
caratteristiche socio-culturali per essere protagonista attivo nella
complicata poliedricità della polis. Nessuno nega il valore educativo di questa forma d’arte.
George Bernard Shaw, ad esempio,
presentava il suo “Pigmalione” come «...
una commedia didattica sulla importanza della fonetica e della lingua parlata».
In pratica, anche il grande commediografo si prefiggeva, tra l’altro,
finalità pedagogiche nel preparare un lavoro teatrale che certamente non
presupponeva una rappresentazione tra le pareti di una scuola, ma delle performance professionistiche sui
blasonati palcoscenici delle più importanti città europee, per un pubblico
decisamente colto e dai palati artisticamente raffinati, se non addirittura
sofisticati. La recitazione nella scuola parte da
presupposti decisamente pedagogico-didattici: il team docente, che propone un progetto del genere, riconosce che
la recitazione di tipo teatrale ha un ruolo preminente fra le tecniche di
“insegnamento”, oltre a rappresentare un valido “pretesto” per intavolare
discussioni, dibattiti, conversazioni, che trascina l’alunno fuori da
qualsiasi tentazione egocentrica, lo avvicina agli interessi di gruppo, lo potenzia socialmente, ne stimola le
capacità critiche irrobustendone la personalità. Insegna, inoltre, a
“valutare” e a “valutarsi” promuovendo educazione all’autocoscienza,
stimolando ulteriore crescita culturale, affinando il gusto per l’arte,
arricchendo la ramificazione dei rapporti interpersonali per un più ampio
sviluppo del senso del sociale; in definitiva, per una completa e cosciente
integrazione nel mare magnum della società. Questa è la scuola del sorriso,
dell’arte, della collaborazione. Una scuola “libera”, che “libera”. Libera
dalla paura, dalla costrizione, dall’obbedienza cieca, dal complesso
hobbesiano dell’homo homini lupus”, dall’oscurantismo della chiusura in se
stessi, dal terrore per l’autorità costituita. È la scuola dove ognuno è se stesso e,
pirandellianamente, uno, nessuno e centomila. Lo si leggeva sui volti dei
ragazzi che stasera interpretavano i personaggi popolareschi di Ciccio De
Marco in una temporanea trasposizione ricca di pathos, di divertente autoironia,
di appassionata partecipazione in cui ciascuno dava il proprio colore ai
personaggi dal sapore farsesco che satireggiavano, con la spontanea ferocia
dei giovanissimi, fenomeni sociali non ben collocati, sulla scena, nel tempo
e nello spazio. Lo si leggeva nei volti dei docenti e
della dirigente coordinatrice, la dottoressa Veltri, affabilmente circondata
dal gruppo che stasera rappresentava l’Istituto di Istruzione Superiore “Fermi-Candela”
di San Marco Argentano. Poche le parole, nessuna delle quali risultava, come
si suol dire, “di circostanza”. Uno spettacolo gradevole che, al di là
delle considerazioni precedenti, ci ha trascinati, quasi goliardicamente,
nell’afflato affettuoso che ha frantumato, simpaticamente e per pochi attimi,
i confini dell’ufficialità istituzionale. Eravamo anche noi parte
dell’abbraccio generale tra gente che resta e gente che va. Un classico, alla
fine di ogni anno scolastico. In fondo, c’è sempre qualcuno che va,
che passa. Che alcune volte sa cogliere l’attimo, altre volte, colpevolmente,
no. Ma la scuola rimane, nel tempo che
scorre increato ed increabile, inglobando nel suo
perenne divenire testimonianze diverse e diversificate, per il giudizio degli
uomini, a memoria! Luigi
Parrillo
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