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La città politica (e non solo) alla luce del pensiero divergente |
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30 novembre 2016 Formarsi un’opinione «Se ne sentono
di tutti i colori!» è l’espressione che si sente dire da ogni parte
ascoltando la gente per strada, gli amici al bar o nei salotti, gli avventori
e gli esercenti durante l’incombenza della spesa quotidiana, gli ascoltatori
(o spettatori) delle più disparate emittenti radiofoniche e televisive al di
là di quelle paludate e altisonanti, che ospitano piccoli e grandi personaggi
fautori del SI o del NO al referendum costituzionale, per il quale andremo ad
esprimerci, nella qualità di cittadini, il 4 dicembre prossimo. Non parliamo, poi, della
colonizzazione del web, che parla a tutti per parlare a ciascuno e lo fa
quasi sempre, purtroppo, fatta salva la buona pace di alcuni, con toni di
saccenteria gratuita e con un linguaggio spesso assimilabile a quello di un
carrettiere dei primi anni del secolo scorso, che indurrebbe al riso se non
fosse la risultante di un fenomeno di tristezza sociale e culturale tutta da
studiare e da analizzare criticamente. Rebus sic stantibus, è un bene o è un male sentirne di tutti colori con
ossessiva insistenza? Mi rendo conto che, spesso, può infastidire accendere
il televisore, per godere di un momento di relax, e trovarsi di fronte il
solito “tifoso” di una o dell’altra tesi che, esagerando nei toni e nelle
argomentazioni, tenta il raggiro dell’uditorio per carpire un consenso
comunque sia, meglio se non ragionato. Né la simpatia o l’antipatia
verso l’uno o l’altro dei sostenitori delle opposte fazioni può favorire una
scelta votata a determinare aggiustamenti importanti della fisionomia della
nostra repubblica. Tuttavia, ascoltare tutti,
leggere tutto e quindi comprendere, ragionare, approfondire, riesaminare per
valutare nei dettagli e, sulla scorta di ciò, tentare di immaginare il futuro
del nostro Paese, ritengo sia cosa saggia al di là e al di sopra dei
suggerimenti degli “amici” o dei “compari”, i quali, ritenendosi più furbi e
più competenti di noi, cercano di indirizzare la nostra scelta secondo una
visione che potrebbe essere quella che noi desideriamo meno. Rendiamoci conto che gli “amici” spesso ne sanno meno
di noi e i “compari” sono quelli che hanno inventato il “comparaggio”, un fenomeno
scadente e deleterio che tanto danno ha prodotto alla nostra società, sia in
termini di immagine che in termini di economia. In politica, poi, è il
fenomeno che ha deteriorato, fino a ridurlo nella condizione che tutti
vediamo, il panorama politico-amministrativo dell’intero Paese. Non resta, quindi, che
l’autonomia di giudizio. La quale, in ogni caso, è la più autorizzata a
guidare le nostre scelte perché è quella che produce, dentro ciascuno di noi,
il formarsi di un’opinione autentica ed originale. La stessa, in pratica, che
ci fa scegliere le persone con cui vivere, lo stile di vita da tenere, il
medico da cui farsi curare, i comportamenti da tenere nei rapporti con tutti;
e, più ordinariamente, il cibo da mangiare e l’ora in cui mangiarlo, i panni
da vestire, il giornale da leggere, la squadra di calcio per cui tifare, il
cinema da frequentare piuttosto che il programma televisivo al quale
assistere, la sedia su cui sedersi; e via via il parrucchiere, il salumiere,
il fornaio e via dicendo. Allora, perché non ricorrere alla
propria autonomia di giudizio per recarsi alle urne ed esprimere una scelta
ragionata che, alla fin fine, può anche coincidere con il suggerimento (mai
disinteressato) dell’“amico” o del “compare”, ma non
ne sarà in alcun modo condizionata. Far bene o sbagliare è un fatto
personale. E, nel caso specifico, chi non c’entra stia alla larga! Luigi Parrillo |
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