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La città politica (e non solo) alla luce del
pensiero divergente |
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15 ottobre 2016 Cattivi si nasce o si diventa? Può capitare a chiunque di
svegliarsi troppo presto una mattina e, trasgredendo l’abitudine inveterata
di aprire le pagine di qualche saggio appena comparso sul mercato editoriale,
accendere il computer ed effettuare una ricerca annoiata - ma distensiva – tra
le pagine dei social network che, da un attimo all’altro, si moltiplicano e
si ampliano con velocità esponenziale. Trovo divertente, ogni tanto,
percorrere in direzione diametralmente opposta, la strada che si apre al desiderio
di tenersi informati sui fenomeni della società e precipitare, come su una
vetturetta dell’otto volante, nel baratro delle ovvietà sgrammaticate che
proliferano sui suddetti “social”, salvo poi a risalire, con altrettanta
celerità, nel dignitoso quotidiano che ti avvolge con i suoi problemi, le sue
faccende imprescindibili, le sue esigenze di sopravvivenza, al di là e al di
sopra di certi spazi di evasione più o meno leggeri, ma comunque rigeneranti. Stamattina, un amico d’oltre
oceano mi ha messo in evidenza un assunto universalpopolare, che ha
attirato la mia attenzione, peraltro distrattamente a riposo fino a quel
momento. E mi ha indotto, attraverso una analisi retrospettiva, a
ripercorrere fatti ed episodi che hanno caratterizzato il mio essere persona
nei giorni e negli anni della mia vita trascorsa. Un esame di coscienza,
direbbe chi è solito esprimersi in termini chiesastici. Come
in una sequenza cinematografica accelerata, mi si sono affacciati alla
memoria volti ed ambienti, sorrisi e complimenti melliflui, circostanze ed
atmosfere accattivanti, abbracci, promesse, parole, parole, parole…. Poi il
vuoto! Cancellato il tutto con l’ultimo
sorriso di circostanza doviziosamente offertomi non molto tempo fa, rimane
l’ombra ancora decifrabile del vecchio adagio popolare: «Passato il santo, passata la festa». Nessuno, a questo punto, pretende
di essere l’unico titolare delle delusioni brucianti che la vita ci regala
attraverso la “gente sbagliata” (per parafrasare il cartiglio un po’ kitsch qui raffigurato). Chiunque di noi abbia avuto la ventura di
offrirsi di buon grado come gratificazione ai bisogni piccoli o grandi di un
proprio simile, potrà recriminare con se stesso per aver messo in campo un
atteggiamento di eccessiva disponibilità per indole, per affettuosità, per
stima, per ammirazione o per qualsiasi altra spinta interiore. L’importante è non pentirsene, non
farsene un cruccio. E smentire, in parte, l’atteggiamento vendicativo della
“cattiveria”, che la frase sottolineata nel social network darebbe come
connotazione generale della personalità di chiunque abbia vissuto esperienze
di immotivata irriconoscenza. Poiché nulla è immutabile nella vita: ciascuno
di noi - direbbe un evangelico – è in perenne cammino sulla via di Damasco,
con la buona pace della Siria di oggi. Né la cattiveria è rimedio o
panacea per le delusioni. Intristisce solo se stessi, a mio parere;
imbruttisce chi la mette in atto sentenziando un’atroce condanna
all’isolamento sociale; inaridisce persino i tratti somatici irrigidendoli in
una durezza senza significato. Allora, se così è, cattivi si nasce
o si diventa? Luigi Parrillo |
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