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La città politica (e non solo) alla luce del pensiero divergente |
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29 marzo 2016 Addio con tenero rispetto Finita la retorica che
inevitabilmente accompagna la dipartita di ogni personaggio in vista per
meriti propri o per demeriti altrui, è il caso di rivolgere un pensiero
sereno e scevro da emozioni o da rituali e non coscienti attenzioni, al
povero Santino Esposito. Un cittadino di San Marco che mai, prima di lasciare
questo mondo, aveva ricevuto segni di stima e di considerazione se non da qualche mente illuminata, che ne comprendeva la
condizione e ne proponeva l’immagine come un simbolo della città, che gli
diede prima i natali e poi un ruolo certamente non fortunato o autorevole
nella vita quotidiana. Un simbolo – dicevamo. E non a caso. Santino era simile al nucleo originario, non ancora
avviluppato nelle scorie di super-ego depositatesi nei secoli in questa
piccola cellula sociale in via di decadimento che è il sussiegoso borgo di
San Marco Argentano. Una vita al servizio. Un personaggio costretto dalla
sorte a vivere una condizione di cui non era né l’origine né la causa. Un
uomo disarmato dal “destino” contro indifferenze di fatto mascherate spesso
da attenzioni di maniera. Appariva, nel deformante immaginario collettivo incolto, lo stereotipo
della rassegnazione genetica, della semplicioneria, della sottomissione
atavica, dell’istinto di sopravvivenza in qualsiasi condizione, oggetto di
crudele derisione fine a se stessa. Ma quanti cosiddetti “normali”, a ben vedere, si potrebbero
riconoscere nelle categorie appena citate? Quanti atteggiamenti - originali o
indotti - di persone “comuni” sono quotidianamente assimilabili (pur con le
dovute differenze) alle modalità di vita che nel povero Santino si
manifestavano esasperate, ma senza celia e senza simulazione? Una indagine psicosociologica accurata produrrebbe, a mio
avviso, un elenco, tutt’altro che scarno, di persone che s’immaginano
diverse, senza valutare che la diversità sarebbe da ricercare unicamente in
una palese differenza di tratti somatici e, talvolta, di abbigliamento, che
fa spesso da maschera, da costume di scena. Per il resto (pur con le dovute
differenze – ripetiamo fino alla noia) le analogie si sprecano. Povero Santino! Eppure, un suo ruolo sociale lo aveva. Era il banditore per antonomasia, poi soppiantato da
“colleghi” tecnologicamente più attrezzati, ma meno affascinanti sul piano
della originalità. Nessuno di questi è mai riuscito a dare un tocco personale
ed un colore popolare alle parole messe loro in bocca da chicchessia. Santino
bandiva alla sua maniera ed era molto più efficace. Era se stesso, tant’è che
ce lo ricordiamo tutti. E ce ne
ricorderemo per un bel pezzo. Provate a ricordare il nome o la faccia
dell’ultimo “banditore” che vi è passato sotto casa o che avete visto sfilare
frettolosamente in piazza ben amplificato e motorizzato. Era il “punto vendita ufficiale”, il “botteghino itinerante”
di qualsiasi lotteria locale. E non è mai tornato a mani vuote dal suo
incessante caracollare per le vie della città. Santino era il fattorino di piccole ambascerie, alcune delle
quali rimaste indelebilmente nel patrimonio della ricca aneddotica ilare e
delle curiosità locali. Quanta gente, ad oggi, può vantare di essere – o di essere
stata – più socialmente utile di lui? Un personaggio lo abbiamo definito all’inizio. E così è! Depositario di tanti piccoli e grandi segreti, che ha portato
con sé nella tomba, chissà che non stimoli la fantasia prolifica di quanti
amano rappresentare scenicamente fatti e situazioni legate a questa città.
Santino, fuor di retorica, merita la scena e, per ciò stesso, gli applausi di
quella gente che, volente o nolente, nel bene e nel male, si riconosca sua
concittadina. Riposi, ora, nella sua pace eterna. E così sia! Luigi Parrillo |
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