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maggio 2014 Ospedale?
Proibito parlarne (ovvero, la catechizzazione
sottile) Non si deve parlare di
ospedale in questa campagna elettorale! È questo l’imperativo categorico
impartito da alcuni settori politici. “L’ospedale ormai è chiuso definitivamente, non serviva a
nessuno, non era utile allo scopo per il quale era nato, era solo un ricovero
per vagabondi di piazza che potevano così vagabondare per i suoi corridoi.” E
ancora: “Se doveva funzionare come funzionava, è stato meglio che l’hanno chiuso; il personale
non era all’altezza della situazione; era solo un luogo dove piazzare gli amici dei politici.” Questi sono, in sintesi, gli argomenti di quei detrattori che
lo criticavano in vita e che oggi giustificano a gran voce la sua chiusura
per aver frequentato una specie di “catechismo” sottilmente penetrante, che
fa dire a qualcuno, a denti serrati e lo sguardo in tralice: «Parlate di
ospedale per accusare chi so io, perché siete avvelenati dall’odio.» Non si tratta del copione di una telenovela di quart’ordine. È
una conversazione reale della quale mi è capitato di essere testimone, che
riferisco non nei termini esatti, ma nello spirito inequivocabile che animava
il soggetto osservato, al quale, come si suol dire,
avevano rubato i buoi e sperava, in cuor suo, che qualcuno gli facesse ancora
recuperare almeno le corna. La parola “odio”, pronunciata in quella maniera e con
quell’atteggiamento, confesso che mi ha profondamente disturbato nell’animo,
sconvolgendo il groviglio delle mie illusioni, tra le quali trovava posto
anche quella in base alla quale ho sempre considerato qualsiasi mio
interlocutore come un essere razionale e non un sicario potenziale capace di
bollarmi come un odioso nemico. Tanto più odioso quanto più ero distante dal
condividere le idee del suo Dio in terra. Un dio, tra l’altro, che lo puniva nella dignità per averlo
reso così irrazionale, attraverso una sorta di bassa catechizzazione,
praticata a suon di mortificanti elemosine. Ma torniamo all’ospedale. Un ostacolo per i piani articolati
di avidi politicanti. Ci voleva tanto a realizzare il concetto che, per
mantenerlo in vita, bastava dimezzare i costi della politica, eliminare i
canali di sperpero colmi di consulenze d’oro e di ore fantasma di
straordinario retribuito con tariffe da manager, o combattere effettivamente
la corruzione per cui un pacco di siringhe fornito all’ospedale costava
quanto un’utilitaria? Oggi, si accorgono della enormità dei rimborsi elettorali e
dei finanziamenti ai gruppi consiliari finiti nei mille rivoli di spese
inutili e voluttuarie. Il denaro per letti, lenzuola e macchinari non lo si
riusciva a trovare, mentre si sperperava in gratta e vinci, cene galanti, alberghi di gran lusso, multe
automobilistiche, affitti di appartamenti inutilizzati; e portaborse,
portaborse, portaborse, … Si poteva rinunciare a tutto ciò? Impossibile! Allora, come fare? Chiudiamo un ospedale e manteniamo i
privilegi! Eh sì! Perché l’ospedale, a detta di qualcuno era un ramo
secco. Ne volete le prove? Ecco, allora uno stralcio della seduta di
consiglio Regionale del 28 novembre 2011: Che ve ne pare? Allora, da quale parte sta l’odio (se di odio bisogna parlare)
verso i cittadini privati proditoriamente di un servizio, che tante vite ha
salvato negli anni in cui ha funzionato egregiamente? Chi ha dimostrato odio verso la propria città, spogliandola di
tutte quelle strutture e quegli apparati pubblici che le rendevano il centro
più importante dell’hinterland? Io, per indole e per formazione culturale, non riconosco odio
nell’animo di alcuno. Individuo, però, colpe gravi e responsabilità pesanti
in taluni comportamenti. Questo sì! Ed è sulla considerazione di queste cose
che mi figuro l’immagine delle persone verso le quali indirizzo o distraggo
la mia stima. Il resto riguarda la coscienza di ognuno. Luigi
Parrillo |
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