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San Marco Argentano - Polis

 

 

 

1° luglio 2014

La reputazione

Il microcosmo della politica locale, se osservato attentamente sul piano delle manifestazioni esteriori, ci offre un campionario di soggetti estremamente interessante, che si può sintetizzare, tanto per effettuare una analisi assolutamente empirica, in quelli chiamati dai cittadini a rappresentarli in consiglio comunale.

Quando parliamo di manifestazioni esteriori, ci riferiamo evidentemente al comportamento inteso nella sua dimensione psicosociologica. C’è chi ha piena coscienza di sé e delle proprie caratteristiche socio-culturali, chi desidera accrescerne le potenzialità in una sana competizione con se stesso, chi brilla per autoreferenzialità, chi si ammanta di luce riflessa, chi crede di aver toccato il cielo con un dito per essere consigliere comunale di un piccolo borgo della Calabria citra.

Tutto, in realtà, si svolge sul piano della reputazione.

Ma che cos’è la reputazione? Vediamone un paio di definizioni:

­            La reputazione (o nomea) di un soggetto è la considerazione o la stima di cui questo soggetto gode nella società.  In ambito sociologico, il concetto di reputazione attiene alla credibilità che un determinato soggetto ha all'interno di un gruppo sociale.  (Wikipedia)

­            La reputazione di una qualsiasi persona è l’immagine che si ottiene analizzando le informazioni pubbliche che la riguardano. Coincide con il concetto di onore ed è, in senso ampio, la dignità personale in quanto si riflette nella considerazione altrui. È in senso più positivo, il valore morale, il merito di una persona, non considerato in sé ma in quanto conferisce alla persona stessa il diritto alla stima e al rispetto altrui (con significato equivalente a quello di onorabilità). [Enc. Treccani on line]

Atteso ciò, possiamo racchiudere i soggetti in esame in tre macrogruppi:

1.      Quelli che una reputazione già ce l’hanno (qualunque essa sia).

2.      Quelli che se la devono (o se la vogliono) costruire.

3.      Quelli che, non riuscendo ad annoverarsi nel primo o nel secondo gruppo, si eleggono detentori e difensori della reputazione altrui.

È la terza categoria quella che ci interessa maggiormente. Una categoria di soggetti autoreferenziali, che affidano a ruoli effimeri e passeggeri la propria immagine pubblica. Per essi la vita è una recita a soggetto, l’istituzione un palcoscenico, la gente il pubblico (plaudente o no). E il voto vale il biglietto d’ingresso.

È così che si dissolve il confine tra la realtà e la finzione e l’attore si crogiola in questa pantomima della vita confondendo il senso del vivere con quello del sopravvivere, alimentando il dubbio che sia più importante il secondo rispetto al primo. Poiché, in fondo, è il sopravvivere che stimola il gesto scenico identificandosi con quello vitale.

È così che si perde il senso e la consapevolezza dell’universo umano, sfugge l’autorevolezza delle galassie che lo compongono, immaginando che tutto stia al di sotto della categoria individuale di appartenenza. Primeggia il sussiego, il birignao da primattore, la gestualità teatrale, la paura della chiusura del sipario che riporta tutto alla tristezza della realtà.

Eppure ci si compiace di questa finzione, che si traduce in passerelle quotidiane tra i muri della città, che sorride ironica e s‘inchina ipocrita.

Ma l’importante è crederci, autoconvincersi, immaginarsi, tener vivo il sogno, parlare senza dire. E il fare? Beh, si sa che tra il dire e il fare c’è di mezzo….

Il mare?

No! La reputazione.

Luigi Parrillo