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21 marzo 2014 L’istituto
della deroga Tra le cose più in voga, per evenienze dall’attualità sconcertante,
sembra che prevalga soprattutto l’istituto della deroga. Ormai si deroga ad
ogni cosa. Basta impostare una norma, definire un criterio, approvare una
legge o, paradossalmente, stabilire un principio, che subito dopo emerge la
necessità, o l’esigenza, o l’urgenza o, talvolta, l’opportunità, di derogare ad essi in
tutto o in parte. E la deroga risulta essere più importate della legge stessa,
perché nella sua applicazione appaiono essere più numerosi i casi di deroga
che non quelli rientranti nella linearità o nella ortodossia. Sembra che le regole, le norme, le leggi vengano scritte
apposta per essere applicate in maniera non perfettamente aderente ai
concetti iniziali o alle intenzioni prime di chi ne abbia concepito la
struttura e pensato le finalità. Il difetto, se così si può chiamare, risiede
probabilmente nel fatto che chi è preposto alla loro applicazione non è la
stessa persona che le ha partorite. Sembra che vi sia un disagio generale
nell’ereditare una norma, perché essa non calza mai a pennello alla
fisionomia dei soggetti di cui dovrebbe regolare il comportamento, o
un’azione, o un modus operandi, o un atteggiamento professionale, o una
condotta familiare e via di questo passo. Senza contare che l’istituto della deroga agevola, sul piano
pratico, la realizzazione dei disegni palesi o reconditi, ma in ogni caso
indiscutibilmente contorti, di chi ne tenta e ne ostenta l’applicazione. In
quale campo? Tutti. In politica, però, la cosa funziona a meraviglia. Esempi? Una infinità! Qui se ci mettessimo ad elencare esempi,
scriveremmo per qualche anno di seguito, senza fermarci mai. Non sarebbe
neppure il caso, tanto gli esempi sono sotto gli occhi di tutti. Persino un
cieco ne avrebbe la percezione “visiva” e lampante. Vediamo, però, di citarne uno, giusto per dare un senso a ciò
che si scrive. E che riguarda proprio il leggere e lo scrivere. Recentemente, da
qualche settore piuttosto disturbato da scarsa serenità, si fa ironia sulla nostra
passione per lo scrivere, che scaturisce dalla nostra avversione per tutti i
fenomeni negativi, che fanno della nostra città un piccolo ricettacolo di
schiene prone e di teste a servizio. Chi scrive, di solito, lo fa perché sa scrivere o ritiene di saperlo
fare. È chi legge, purtroppo, che non sempre ne possiede gli strumenti
adeguati. È anche per questa ragione che, per esempio, non compra il
giornale. O, se qualche volta lo tiene sotto l’ascella per finta, se lo fa
leggere e interpretare da qualcun altro, al quale probabilmente lo avrà anche
“scroccato”. |
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Non ci resta che piangere |
Miseria e nobiltà |
Totò, Peppino e i fuorilegge |
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È
il risultato dell’azione di chi, derogando con grave responsabilità al
proprio dovere professionale, gli ha regalato la “patente” di istruito, licenziandolo da una scuola
che avrebbe dovuto tenerselo a vita: un tempo appena congruo per consentirgli
di imparare a memoria almeno le lettere dell’alfabeto. E si che alcune
cattedre sono state “calpestate” (metaforicamente parlando e fuor di metafora)
fino a quando “altre attività”, cosiddette onorevoli, non le hanno liberate
dai loro titolari. Una disinfestazione opportuna per la scuola, ma dannosa
per le “altre attività”. Questa sarebbe l’ironia giusta sulla quale soffermare la
propria attenzione in un momento storicamente interessante, in cui la città
tende a rinnovarsi e qualche altarino a scoprirsi. Altro che sperare che a
qualche penna si sgangheri il pennino, ammesso che se ne accorgano. Tuttavia,
anche con il pennino sgangherato noi apporremo la nostra firma in calce alle
nostre critiche, mai smentite fino a questo momento. Allora, ci si rende conto che derogare alle norme, spesso
produce danni irreparabili? Ci sono, tuttavia, princìpi ai quali non è
possibile derogare. Non si può derogare alla morale, all’onestà, alla
fedeltà, alla solidarietà, alla umanità, alla chiarezza, alla rettitudine, e
così via. O non sono più di moda? Luigi Parrillo |
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