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dicembre 2014 I
silenzi eloquenti Vi
sono circostanze in cui parlare è d’obbligo, altre in cui è più utile tacere.
Utile a chi? – vi chiederete. Ma è chiaro! A chi del silenzio
dovrebbe far tesoro come se fosse un discorso di migliaia di parole, che non
si pronunciano per non rendere peggiore la situazione. Siete certi – vi domanderete ancora - che i destinatari del
non dire recepiscano tutto quanto si cela dietro il muro di silenzio? Una
considerazione altamente positiva della loro intelligenza ci fa supporre
proprio di si. Ci piace pensare che, spesso, la voce dell’Io è più forte e
più prepotente di mille (si fa per dire, poiché saranno più di mille)
critiche eterodirette pronunciate con piglio amichevole, o stentoreo, o
suadente, ma tutte finalizzate a richiedere una maggiore incisività alle
azioni che si è chiamati a compiere per desiderio unanime. Il silenzio che maggiormente urla alle proprie orecchie
interiori è quello della propria coscienza, che, volenti o nolenti, non ha
remore nel plauso o nel rimprovero, una volta stabilito che il proprio dovere
sia stato assolto per intero o no. E non esiste, crediamo, mortificazione peggiore dell’essere
trascurati nella valutazione e nella considerazione generale dei propri gesti
professionali, o sociali, o politici, o di qualsiasi altra natura. Quando si
arriva a questo livello, si diventa inutili o pressoché inesistenti. Ora, è pur vero che non si vive solo in funzione della
considerazione altrui, ma determinati ruoli interagiscono con il mondo
circostante e dal suo feedback traggono motivo e linfa per esistere e per
sopravvivere. Se una persona qualunque non si proietta interamente sulla
società con la propria peculiarità o con i propri risvolti collaterali, viene
meno la ragione del vivere civicamente impostato. Abbiamo esempi (seppure in
negativo) che dovrebbero farci intuire come ci si pone per raggiungere gli
obiettivi prefissi. E se ci riescono persone con un patrimonio assolutamente
povero di qualità intrinseche, perché non dovrebbero riuscirci soggetti
meglio attrezzati culturalmente? È un problema di coraggio? Di opportunità recondite? Di
generiche riserve? Si
tratta di dati caratteriali? Di condizionamenti? Si
è, forse, delusi, scoraggiati, rassegnati? Beh, in questo caso è utile
parlarne con le persone giuste. Il silenzio non risolve nulla. Nel vivere
insieme c’è sempre una via d’uscita. L’alternativa è soccombere. In ogni caso, ci sarebbe una strada parallela da percorrere:
parlare con se stessi guardandosi allo specchio. Senza lasciarsi fuorviare, però.
Poiché lo specchio ci restituisce, si, la nostra immagine, ma capovolta
orizzontalmente. La gente, quindi, quando ci guarda in viso, ci osserva da un
altro punto di vista rispetto al nostro osservarci allo specchio. Da qui, la domanda: Siamo ciò che noi presumiamo di essere o
quel che gli altri vedono di noi? Pirandello ci insegna che potremmo essere uno, nessuno e centomila! Allora, è
più utile che per noi parlino i fatti concreti, reali, incontrovertibili, decisamente
coraggiosi e, principalmente, pubblici. Poiché in certi settori, i fatti
vanno presentati, esibiti, gridati, amplificati, messi in luce con ogni mezzo.
Essi sono lo specchio fedele di quello che siamo e restituiscono a chi ci
osserva una immagine a tutto tondo, bella o brutta che sia, ma vera e
autentica nella sua cruda realtà. Di ombre, ciascuno di noi può proiettarne. Tranne che a
mezzogiorno, in piena luce e con il sole a picco. A mezzogiorno, anche il
silenzio parla fiumi di parole. Luigi Parrillo |
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