|
|
||
|
16
aprile 2014 |
|
|
|
I
rifiuti dei grillini I
grillini partono dai
rifiuti, come dire: “incominciamo
ad eliminare tutto quello che puzza”. È una iniziativa giusta e sacrosanta,
che, tuttavia, va trattata non per linee generali, ma nei dettagli.
Differenziare gli scarti quotidiani suddividendoli per categorie comporta una
individuazione capillare delle categorie di rifiuti, in modo da approntare i
giusti contenitori per la raccolta e lo smaltimento. Rimane da capire se
hanno già un’idea di come e dove smaltire anche gli scarti politici derivanti
da una loro eventuale conquista del cinquantuno per cento o da una improbabile
- ma necessaria, a questo punto - rivolta popolare, che mandi in rottamazione
tutti coloro che fino ad ora hanno ridotto la città in questo stato pietoso. E queste son cose che vanno dette. Non basta pensarle o
lasciarle indovinare. Va detto chi, come e dove, se si desidera veramente la
rinascita della città. Immagino che nessuno sopporterebbe, alla fine, che se i grillini
dovessero prendere qualche seggio, lo mettessero a disposizione di qualche
furbacchione. Sarebbe una “civetteria”
inutile. Ci vuole il coraggio delle parole chiare, in queste battaglie ardue.
Perché le parole sono pietre: a volte sfiorano il bersaglio, a volte
colpiscono, quasi sempre costruiscono se vengono collocate con intelligenza e
con scienza l’una accanto all’altra o le une sopra le altre. Si, perché si sentono così tante campane stonate tintinnare in
questa settimana santa – e non solo – da rimanere attoniti ed impietriti,
peggio di come se si avesse il sentore che stia per verificarsi un
cataclisma. Quando prevale il vecchiume, nei metodi e nelle figure, è segno
inequivocabile che la gioventù ha abdicato alle sue prerogative e ha venduto
il proprio entusiasmo sulle bancarelle domenicali. E se la gioventù si
arrende (o si svende), il cataclisma è alle porte. Ma che cos’è la gioventù? «L’impazienza di essere quel che si
può essere» sosteneva un importante filosofo americano. Un’espressione che
significa una infinità di cose, tranne una: abbandonarsi alla volontà di un
padrone, che dispone degli altri come meglio sa fare e può fare. I giovani
devono tendere con forza a realizzarsi, rifiutando l’obbedienza cieca, anche
se, qualche volta, sembra essere la scorciatoia per il successo. L’auto di
grossa cilindrata verrà, con il tempo e con l’impiego della propria volontà.
Verrà, soprattutto, con l’utilizzo del proprio denaro. Averla in prestito non
serve a nulla, perché tornando a casa, la sera, non si troveranno lenzuola di
seta sotto un baldacchino di legno pregiato, ma il vecchio proletario cotone,
magari un po’ liso e un po’ rammendato. L’immagine? Se non è la propria, è da ridere! L’uomo in
maschera fa ridere anche nel dramma. Ognuno si presenti per quello che è, ed
è con certezza mille volte meglio di quello che sembra. La livrea in tinte
sgargianti, di solito, è simbolo di servitù. E, col tempo, deforma la schiena
perché la incurva in avanti; ottunde il pensiero autonomo per mancanza di
esercizio; abitua gli occhi a non guardare il cielo per essere costretto a rivolgerli
sempre verso il basso; induce a mangiare il pane che non compra e a pregare
per un’anima che gli appartiene sempre meno. Ecco perché attendiamo tutti che si apra il velo di mistero
che copre le liste elettorali e che vengano resi pubblici i punti
qualificanti dei programmi di governo. Speriamo che siano pochi, essenziali e
realizzabili. Che siano pensati per la gente. Che siano cose concrete e non
soltanto di facciata. Esempi? La sanità, il commercio, la viabilità
interrotta che mortifica l’economia (la strada di Cavallerizzo, per
intenderci), la scuola, la sicurezza, gli anziani. Il resto ben venga. Ma dopo. Perché la città non è un bene
astratto. Né un prodotto assemblato alla meglio di egoismi contradaioli
fomentati da pseudopolitici d’assalto. La città è per gli uomini che ci
vivono dentro in maniera unitaria ed egalitaria. Chi non la pensa così è
invitato ad andarsene, magari al guinzaglio di qualche politico disonesto e
scissionista che, seminando di queste zizzanie, zappa l’orto per fregare i
monaci. Papa Francesco, recentemente, ha pronunciato aspre parole di
condanna verso questa genia di uomini politici dediti unicamente a soddisfare
i propri bisogni ed i propri interessi, suggerendo implicitamente agli
elettori di non conferire più a costoro alcun tipo di potere. In altra
occasione, parlò di “pane sporco” che certi politici
corrotti danno da mangiare ai propri figli. È bene ricordare questi ammonimenti, che la saggezza e il
grande senso morale di questo Pontefice offrono agli uomini nel tentativo di
moralizzare la vita pubblica e privata del nostro Paese. Luigi Parrillo |
|
|
|
|
|
|