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marzo 2014 Ceto
politico o classe dirigente? Dietro al silenzio imposto dalle ultime tragiche vicende che hanno
colpito crudelmente la nostra città, non si arresta il fermento sotterraneo
delle manovre pseudopolitiche che ci condurranno, da qui a poco, verso
l’obbligo civico della scelta degli amministratori locali. Pur senza indagare minuziosamente nelle mosse dei singoli, che
ormai costituiscono una vera e propria rete a maglie strette per imbrigliare
il consenso popolare sulla scorta delle ragioni più impensate, si ha la
sensazione che la finalità ultima degli strateghi di piccolo o medio calibro
sia soltanto quella di far uscire dalle prossime elezioni, più che una nuova
classe dirigente, un ceto politico (nuovo, vecchio o riciclato) che abbia la
sola preoccupazione di sopravvivere come tale, ma non di governare la città. Eppure San Marco lo meriterebbe, considerata la lunga
astinenza. Sguardi in tralice,
finte cordialità, approcci furtivi, timide e frettolose offerte di caffè al
bar, saluti mai rivolti o ricevuti prima, ghigni atteggiati a sorrisi di
maniera, nuove insospettate frequentazioni, capannelli anomali perché
oggettivamente disomogenei, conversazioni tra occhiate guardinghe rivolte
intorno, messaggi-esca diramati con finto indifferente disinteresse,
adulazioni sprecate in ogni momento e per ogni dove, sono alcuni degli
elementi che caratterizzano, in questi ultimi giorni, i rapporti sociali
quotidiani per le vie della città. Uno sceneggiatore cinematografico non saprebbe inventarne di
migliori e di più efficaci scenicamente. Persino Antonio Albanese, autore
delle più feroci satire politiche, non sarebbe riuscito a cucire assieme
tante situazioni paradossalmente teatrali. E, alla fine, avremo certamente degli eletti. Ma avremo anche
dei buoni amministratori? Ecco il dubbio che dovrebbe tenere desta
l’attenzione degli elettori. La corsa alla candidatura la si comprende
benissimo per tutta una serie di ragioni che nessuno vuole contestare. Né è
da biasimare la persona che vuole utilizzare tutti i canali possibili per
migliorare la propria posizione. Ognuno ha il diritto di tentare la scalata
verso i livelli più alti del panorama socio-politico locale e non. Ma dovrà
essere il cittadino elettore a capire se ne ha il valore e le capacità,
considerando che da quel valore e da quella capacità (vere o presunte che
siano) dipenderanno le sorti del paese genericamente inteso. Non basta essere eletti per diventare capaci se non lo si è,
onesti se non lo si è, intelligenti se non lo si è, leali se non lo si è,
puliti se non lo si è. La condizione di “eletto” non modifica le
caratteristiche di alcuno dopo la proclamazione. Né è da pensare che uno non adatto possa formarsi una squadra
diversa da sé. Di solito, ognuno si circonda di persone che gli somigliano,
che la pensano alla stessa maniera o, quanto meno, disposte a non
contrariarlo, ad obbedire ciecamente, a prostrarsi senza resistenze pur di
non perdere i vantaggi derivanti dalla “posizione”. Questa, purtroppo, appare essere la situazione locale, che
sembra non preoccupare la gran parte dei cittadini, tutti tesi a conoscere
prima degli altri i nomi dei candidati. Ma non per valutarne la caratura.
Semplicemente per il gusto pettegolo di deriderne alcuni sparlando degli
altri, per poi votare, magari, gli uni e gli altri come se i fessi al governo
fossero semplicemente i personaggi di un serial televisivo e non, piuttosto,
quei soggetti che, così facendo, affosseranno ancora di più il paese. Non stupisca la durezza di queste espressioni. La storia
politico-amministrativa degli ultimi trent’anni ha lasciato tanta amarezza
dietro di sé, da non lasciare spazio alcuno alla pietà o alla falsa
diplomazia. Bisogna convincersi che per sanare i danni prodotti finora ci
vorranno tempi lunghi e uomini dalla tempra d’acciaio e dalla ferma volontà
perseverante. Per cui, prima si incomincia, meglio sarà. Lasciamo da parte i familismi e le convenienze: il futuro
vuole intelligenze vive e fattive, non amici e parenti. Luigi
Parrillo |
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