Si leggeva ieri su “L’Ora della Calabria” che il mostro galoppante
della disoccupazione si aggira tra quelli che erano i gangli economici più
significativi della nostra città, i meriti della cui realizzazione furono
oggetto di contese, rivendicate paternità, finalizzate alla fortuna di pochi,
ma contrabbandate come elevata forma di altruismo che si incanalava verso il
benessere della cittadinanza.
In pochi avevamo subodorato (e denunciato nei vari convegni,
alcuni anni fa) le vere finalità delle tante manovre di scaltra
pianificazione della zona “industriale”. Eravamo nella sala conferenze della
CA.DIS. s.a.s. per un convegno organizzato dal partito politico che allora si
chiamava Democratici di Sinistra.
Alla presenza di Mario Oliverio – Presidente dell’Amministrazione Provinciale
di Cosenza – e di rappresentanti politici locali di diverso livello, tra
imprenditori del nostro territorio e non solo, ci fu chi parlò di “nuovo
caporalato in cravatta e look griffato” che metteva in serio pericolo la
permanenza duratura delle imprese nella zona industriale del Fullone.
Il calare o il venir meno degli interessi economici di pochi
soggetti nella strutturazione dell’intero apparato territoriale, avrebbe
inesorabilmente indebolito la solidità delle aziende con le conseguenze di
cui oggi si denuncia la gravità, essendo la notizia fornita dai giornali
(vedi articolo) l’ultima di una serie che sembra non finire con l’episodio
della Vegitalia. Voci non controllate si rincorrono
annunciando altre pericolose defaillance nel
tessuto imprenditoriale del Fullone.
Ed è sulla crisi del lavoro che si innesta lo sciacallaggio
politico. È di questi drammi sociali che si nutre il sottobosco della
politica d’assalto. Quella che apre ingannevoli nuovi spiragli a speranze che
andranno puntualmente deluse. «Compa’ Fra’, tu un
t’hana preoccupa’. ‘Pi tia c’è sempre ‘na
possibilità!» Oppure: «U guagliuni tua ha da sta’ tranquillu,
compa’ Micu’. Diddru tena sempre ‘na porta aperta ‘cu mia.» Oppure ancora: «Fa’ vini’ u momentu
buanu, ca ti fa vidi u cumpari tua cumu s’aggiustano i
cosi.»
Queste ed altre simili battute “affettuose” saranno ripetute
centinaia e centinaia di volte nel corso delle innumerevoli visite
elettorali, mentre con una mano si porge un fac-simile della scheda e con
l’altra si accetta malvolentieri l’ennesimo bicchiere di vino, offerto nel
segno di un’ospitalità che sarà certamente mal ripagata.
Ma la scheda non porta certezze. La scheda contiene solo un
elenco di nomi tra cui uno solo è posto in evidenza. Ora, con tutto il
rispetto per il nome in sé e per sé, presentato così è soltanto una scatola
vuota. Noi vorremmo vederlo vergato in calce ad un progetto articolato,
effettivamente valido e convincente per lo sviluppo della città. E lo
sviluppo passa attraverso l’occupazione, un lavoro duraturo e ben retribuito,
una ricchezza equamente distribuita. Che significa un commercio fiorente, una
buona circolazione della moneta che non sia custodita solo nelle tasche di
pochi a danno di molti.
Uno scarno elenco di candidati non ha alcun significato se non
quello di identificare delle fisionomie normali, ordinarie, come tante.
Sarebbe utile che ciascun candidato firmasse con il proprio nome e cognome un
impegno da cui si possa leggere come e con quali azioni
politico-amministrative intende contribuire alla crescita della città. Che si
scegliesse un ambito di competenza in ordine al quale rivendicasse esperienza
e capacità. Che dimostrasse, con la propria storia, di essere persona
affidabile sotto tutti gli aspetti. Altrimenti, non gli si può affidare un
governo.
Chi pensa il contrario gioca in malafede, ci vuol prendere in
giro, vuol farci fessi.
Ed ecco che oggi lo stesso giornale scrive:
Non è altro che una guerra sui nomi. Sempre e soltanto nomi. Non
un progetto, non un’idea.
Ma, a leggere attentamente l’articolo, scorrendo con lo sguardo
acuto le righe e le parole, si ha la sensazione che, sotto sotto, c’è un
disegno che gli stessi contendenti citati nel “pezzo” (Mariotti e Mollo, per
intenderci) non riescono forse a intravedere per intero.
Pare di capire che il regista esperto, più volte citato
dall’articolista, stia attizzando il fuoco tra i due “pretendenti al trono”,
che non rispondono interamente alle sue mire espansionistiche e che sono già
logori per il loro passato politico non esaltante. La prima per essere troppo
acquiescente, il secondo per essere troppo ballerino ed inaffidabile.
È legittimo il sospetto che il grande manovratore (manofratore avrebbe
detto egli stesso qualche tempo fa) stia cercando di atteggiarsi al buon re
Salomone (senza, beninteso, conoscerne la storia) per cui, in un eventuale
acuirsi della contesa, egli inserisca il terzo che godrebbe a danno dei
“litiganti”. L’avvocato Artusi è dietro l’angolo e lo stratega non lo perde
di vista.
Rimane da capire quale potrebbe essere il ruolo dei due pretendenti
nell’eventualità che si verificasse la terza ipotesi e quale scaltra
contropartita potrebbe essere loro proposta per abbassare la testa (e non
solo) e prendere parte ad una battaglia politica che li vedesse già sconfitti
in partenza sul piano della dignità e
del prestigio.
Ecco la debolezza dei nomi che hanno la prevalenza sui progetti.
Se avessimo di fronte, invece che tre nomi, tre visioni differenti di
sviluppo della città, non sarebbe difficile per il cittadino individuare la
strada giusta da scegliere elettoralmente.
No! Ci danno nomi. Soltanto nomi! E anche qualche inutile
spiraglio di speranza sulla situazione della Vegitalia,
come dicevamo poco più su. Inutile, perché la conclusione dell’articolo ci
lascia delusi e perplessi come prima. Apre solo spazi all’unica speranza che
qualche furbetto possa incanalarsi per sentieri traversi con l’aiuto di
qualche maneggione. Ma questo è solo ciò che vuol far capire chi ha scritto
l’articolo. Noi sappiamo che con i giapponesi non si scherza.
Leggete voi stessi:
Tutto ciò premesso, credo che ci si apra davanti agli occhi un
panorama più chiaro. Che sia meglio osservabile nei dettagli l’orizzonte
politico-amministrativo che si staglia in lontananza. Ci sorprendono solo
alcuni silenzi, che potrebbero preludere a vampate improvvise di orgoglio e a
scatti che diano frutti meno amari di quelli che si potrebbero cogliere rebus sic stantibus.
Luigi Parrillo
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