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gennaio 2014 Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno È
opinione comune che oggi, nel nostro paese, si stia vivendo un periodo di
oscurantismo politico senza eguali. Uomini e fatti rotolano insieme in una
confusione indescrivibile, generando una spirale di negatività
socio-politico-culturali che mai avevano così mortificato la nostra città.
Che appare attonita, impotente, stordita dalle metaforiche bastonate inflitte
da una classe politica (si fa per dire) con un senso molto approssimativo
della comunità. Quest’ultima,
in larga parte, non fa molto per farsi rispettare di più. Si siede, aspetta,
subisce, tace e tira a campare. Mi ricorda tanto l’atteggiamento del
passeggero sulla nave che sta per affondare e non se ne preoccupa
minimamente: tanto non è sua. Non solo, ma attende di sapere se la nave
affonderà o se il capitano è all’altezza, da qualche voce telecomandata, cui
basta un modesto gettone, tipo juke box anni
sessanta, perché riproduca la parte secondo copione. Interessante,
tuttavia, risulta essere l’interpretazione delle presunte strategie politiche
degli ultimi giorni, assimilabili, senza il minimo sforzo di fantasia, alle situazioni esilaranti di Bertoldo,
Bertoldino e Cacasenno, con tanto di Marcolfa al
seguito (leggi articolo de “l’Ora della Calabria”). Una situazione
da medioevo politico fondato sulla presunta dabbenaggine popolare, disposta,
secondo alcuni dei grandi strateghi contemporanei, a credere agli asini che
cacano denaro e alle galline dalle uova d’oro, osservando le rapide fortune
di qualche noto personaggio. Ancora
una volta rispuntano, nella stesura del “pezzo” in esame, aggettivi come inossidabile, determinante, solidità del
gruppo, cui fanno da contraltare improbabili presunte candidature, messe
lì a fare da “spalla” al capocomico, che guadagna il centro del palcoscenico
secondo l’inquadratura soggettiva ordinata da una regia casalinga a mezzo
servizio. Ma, osservate con attenzione la foto
che correda l’articolo. Essa ritrae i mezzi sorrisi dei componenti la prima
giunta Termine: quella, per intenderci, che avrebbe dovuto essere l’emblema
dell’Unione e del Cambiamento. Ci
sono: quattro dimissionari sullo sfondo, una espulsa - immediatamente a lato - e, al centro, un
sindaco (con lo sguardo perduto nel vuoto) costretto alla resa dalla “politica”
spregiudicata del suo alleato dell’ultima ora, ma prima nemico, poi mezzo
amico, poi salvatore dal primo naufragio, poi spinta propulsiva (e, forse,
suggeritore) per l’approvazione del Piano Strutturale del Comune, poi partner
di spicco per il più sospetto inciucio della storia politica locale, infine,
esecutore materiale della decapitazione definitiva dell’amministrazione
comunale. È il
quadro rappresentativo delle vittime designate da un sottile disegno
politico, che parte da lontano e che ancora oggi si continua a tenere in pedi
per una restaurazione deteriore nel governo della città. Che invece grida a
gran voce l’esigenza di una vera e propria rivoluzione. È
una rivolta culturale ciò di cui ha
bisogno oggi la nostra città. Una presa di coscienza delle giovani
generazioni che scegliere non significa gratificare gli amici o gli amici
degli amici. Scegliere vuol dire optare per il meglio, anche se il meglio non
è persona di famiglia. Altrimenti si farà come la figlia dell’alto ufficiale
nazista che organizzava e gestiva i campi di sterminio, la quale sosteneva
che suo padre era il padre più buono del mondo. Bisogna
recuperare un metro di giudizio il più obiettivo possibile. I campioni da
esaminare, allineati in bell’ordine nel panorama presente e in quello della
storia recente della nostra città, non offrono immagini positive da indicare
come esempio. I social network più frequentati dai giovani (e non solo)
lasciano trasparire sentimenti di nostalgia verso amministratori del passato
che, nel bene e nel male, avevano a cuore lo sviluppo della città. Avevano un
notevole spessore umano e sociale, una caratura politica di alto valore (per
quanto etichettata), ma anche disponibilità all’ascolto, proiezione verso le
istanze della comunità, rispetto per il proprio simile, modestia
nell’atteggiamento, umiltà nell’approccio con l’altro. Avevano, soprattutto,
competenze amministrative ciascuno per il settore di intervento: il bilancio,
i lavori pubblici, l’istruzione, la sanità e lo sport venivano gestiti con altra
consapevolezza e, quasi sempre, nel rispetto delle esigenze dei cittadini. Oggi,
le uniche esigenze che contano sono le proprie. Tutto il resto è relativo.
Smentitemi se non è così, ma con prove concrete! Il
giornale titola “Tutti pronti per le
comunali” (vedi). Ma pronti a fare che cosa? Quali
piani di sviluppo hanno in mente tutti questi “pronti”? Parlano di nomi, di accordi o di disaccordi che il solito
capo-padrone è capace di dirimere, di capi, sottocapi e capetti tutti agli
ordini del feudatario, di rimorchi eventualmente da trainare per disorientare
gli avversari, e cose di questo genere, tutte oltremodo discutibili sul piano
della correttezza politica. Ma
cosa hanno in mente per la città? E per le scuole? Per la sanità? Per il
lavoro giovanile? Per le tasse che aumentano senza che i servizi migliorino?
Per le strade? Per il traffico? Per il commercio? Per la cultura e per il
tempo libero? Per gli acquedotti che “fanno
acqua” da tutte le parti? Per l’illuminazione pubblica da cimitero? Per
la raccolta differenziata dei rifiuti solidi urbani? Per le energie
alternative? Sono
solo alcune delle istanze migliorative della città. Ed è di queste cose che
vorremmo si parlasse sugli organi di stampa, non di pura e semplice campagna
elettorale, fuori luogo perché oggi lascia il tempo che trova. I nomi non
sono affatto una garanzia se non si collegano a precisi progetti di sviluppo
e ad impegni da non eludere, come finora è stato fatto da parte di soggetti
che si ripropongono con una notevole dose di faccia tosta. Già
ai tempi di Bertoldo erano in pochi a credere alla storia dell’asino che
defecava bisanti. Oggi, a distanza
di qualche secolo, non credo che il numero degli ingenui sia aumentato, anche
se qualcuno lo spera ardentemente. Luigi Parrillo |
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