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4 agosto 2013 Spese allegre,
cittadini tristi, ospedali in malora.
Calabria Ora del 4 agosto 2013 La Corte dei Conti bolla come “carta straccia”
le note riepilogative che i gruppi politici regionali le inviano per
giustificare le spese (definite a volte “folli”, a volte “allegre”) sostenute
dai parlamentari regionali per “fare politica”. Vogliamo documentate una per una le spese dei
gruppi regionali, sembra ribadire la magistratura contabile, al di là di una
generica nota spese che accomuna i soldi spesi per le oggettive attività
politiche a quelli per i gratta e vinci,
per le multe prese non si sa come e da chi, per i tablet e i telefonini di ultima generazione, e mille altri
acquisti pruriginosi che hanno sottratto sostanze utili al mantenimento degli
ospedali, delle scuole, dei tribunali. Riesce difficile quantificare la dose di faccia
tosta di quei parlamentari regionali che, ancora oggi, nonostante il
polverone sollevato dagli scandali delle spese pazze sostenute a danno della
spesa pubblica, affrontano apertamente la gente con l’atteggiamento di chi
lavora per salvare la patria. Ed è altrettanto difficile comprendere la
noncuranza di un buon numero di cittadini che, pur non brillando per
benessere, non riescono a realizzare il concetto che certi comportamenti
scorretti (a dir poco) sono la causa determinante (anche se non la sola)
delle condizioni di disagio e di precarietà nelle quali vivono e si dibattono
con sofferenza. Perché – ci si chiede – ancora sopravvive, in
taluni contesti sociali, questa sudditanza che non trova giustificazione
logica da nessuna parte? È una condanna psicologica del nostro meridione o
esiste una ragione recondita che a noi sfugge per eccessiva buona fede? Qual
è il collante culturale che tiene assieme questo incomprensibile
anacronistico “padronato” e questo “servilismo” antistorico, che in altra
epoca hanno determinato rivolte sanguinose, le quali sembrano non aver
lasciato traccia nella memoria di alcuni? A che cosa è dovuta, da noi, la
sopravvivenza di questo nuovo feudalesimo strisciante che cancella, in un
colpo solo, secoli di storia della civiltà umana? “Festa, farina e forca” era il trinomio della
Napoli borbonica. Qui, da noi, la teoria delle tre “F” viene ancora applicata
con qualche piccola variante dovuta al mutamento delle condizioni storiche.
La festa
rimane (a spese della gente); di farina ce n’è sempre meno e con seri dubbi sulla sua
qualità non solo sul piano dell’allegoria; la forca (che dà la morte) viene sostituita egregiamente
con le carenze sanitarie e la chiusura degli ospedali, con le scuole ridotte
nel numero e nella qualità dell’edilizia, con la giustizia (già di per sé
lenta e farraginosa) resa più difficile e dispendiosa per i cittadini dalla
chiusura dei tribunali periferici. Poniamoci una domanda: «Tutte queste cose
accadono da sole, per maledizione divina, oppure sono dovute alla cattiva
gestione della cosa pubblica e ad una politica sconsiderata, che ha fatto
scorrere il denaro pubblico in mille rivoli inutili, dando la falsa
impressione di aiutarti mentre ti spingeva sull’orlo del burrone?» È da non credere con quanta rassegnazione la
nostra gente accetti questo “destino”, mentre in altre parti del Paese ci si
organizza in movimenti dinamici che diventano, poi, protagonisti, artefici e
progettisti del futuro delle comunità. Vorremmo vedere la fasce giovanili
dare impulso al riscatto della città, che oggi soffre tutto il disagio di una
condizione indegna se si guarda alla nostra storia e alle nostre tradizioni.
Vorremmo ragazzi più coraggiosi e pronti a dare il meglio di sé. In fondo si
tratta di costruire il proprio futuro con maggiore dignità rispetto al
miraggio dell’elemosina pietita al politico di turno. Luigi Parrillo |
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