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15 settembre
2013 Primo giorno di scuola (mancato) Ho insegnato per oltre
quarant’anni e, nel bene e nel male, ho sempre cercato di onorare e nobilitare
la mia professione, piuttosto che esserne nobilitato. Ho sempre pensato che
entrare in un’aula scolastica presupponesse un elevare l’atmosfera ai massimi
livelli possibili, per far sentire pienamente agli alunni il respiro
autorevole che aleggia negli ambienti deputati alla loro crescita; ed alla
mia. Erano i tempi in cui il divario generazionale, ancorché
improntato sulla eterna e storica contestazione, era colmato, in un certo
senso, dalla reciproca stima verso l’altro inteso come persona, titolare di
diritti e obbligato da doveri, ma essere umano nella qualità di bambino,
adolescente, giovane. Sulla scorta di questa considerazione, pensavo al primo giorno di
scuola, nella lieve traumaticità dell’impatto psicologico, come ad un nuovo
panorama che si disvela agli occhi di un bambino, dandogli l’idea
immaginifica della bellezza del suo percorso educativo. Il bambino di prima
elementare, che entra in contatto per la prima volta con la scuola del libro
e del quaderno (gli strumenti multimediali li avrà già frequentati a casa
propria), ha bisogno di vedere davanti a sé la luce della serenità in un
ambiente fisico accogliente, che gli ispiri fiducia. Il buio del provvisorio,
arraffazzonato, tetro e decadente (sarebbe meglio
dire ‘cadente’), come predisporrà un bambino di sei anni a incominciare il
suo rapporto con “la scuola”, che in televisione, sui libri e sui giornali,
ha visto bella, luminosa, accogliente, moderna?
Non
bisogna essere necessariamente degli addetti ai lavori per fare certe considerazioni.
Basta essere genitori, nonni, ed incarnarne i ruoli con dignità e con amore.
Purtroppo, le discutibili “poltroncine” di comando hanno il potere di
cancellare ogni dimensione umana. E la scuola diventa “muri” (o appalti), gli
alunni diventano “numeri”, i genitori non so che cosa, il tempo scuola un
elastico da regolare con avvisi pubblici dell’ultima ora. Nessuno valuta le conseguenze che potrà determinare una delusione
che, per quanto oggi possa apparire modesta ed irrilevante, avrà i suoi effetti
negli anni a venire. Solo in chi sa valutare i delicati meccanismi della
psiche infantile potrà insorgere il sospetto che deludere oggi un bambino,
sul piano sociale, può significare, domani, un rapporto non corretto con la
società in generale. Poiché, oggi, egli l’ha vista inefficiente e distante
dalle sue esigenze. E potremmo andare avanti, di questo passo, fino all’infinito.
Purtroppo, in questa città, le cose vanno così e ogni giorno che passa in
questo silenzio acquiescente fa affievolire la speranza di un reale
cambiamento. Peccato! Luigi
Parrillo |
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