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La città politica (e non solo) alla luce del pensiero divergente |
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21 marzo 2017 Teorema (ovvero, “La lezione di Locri”) E così, si definisce “sbirro” chiunque adotti un atteggiamento
di rifiuto dei fenomeni malavitosi o, molto più semplicemente, si opponga,
quand’anche solo verbalmente, al malaffare in genere, ivi comprese tutte le maneggionerie poco pulite e poco oneste che vengono messe
in atto a danno dei cittadini inermi. Il campionario di queste ultime è
vario e variegato. A catalogarle non basterebbe un volume di dimensioni
stratosferiche e, al di là della già nota terminologia giudiziaria,
occorrerebbe la messa in campo di una creatività straordinaria per inventare
nomi e definizioni, nonché situazioni e circostanze, che imporrebbero
numerose appendici ai codici (civile e penale, nonché delle rispettive
procedure) già di per sé abbondantemente corposi. Ma chi è uno “sbirro”? Secondo
l’accezione comune, non è altri se non un tutore dell’ordine pubblico
osservato con spregio da chi preferisce vivere nel disordine sociale, civile
e morale. Nei fatti locresi, ai quali si riferisce chiaramente il titolo,
viene definito spregevolmente “sbirro” chi invita all’onestà, al rispetto
dell’altro, alla inviolabilità della dignità altrui, all’uso corretto dei
beni comuni, a non offendere la sacralità della vita del proprio simile
rispettandone i beni e i diritti, chi vive nella legge senza dileggiarne i
principi, chi ha timore – in conclusione – di insozzare la propria coscienza. Tutti gli altri come vogliamo definirli? “Non sbirri”? Ed è possibile dividere la
società molto semplicisticamente in “sbirri” e “non sbirri”? Allora, ragionando per iperbole
ed usando un linguaggio binario [1:0 = Vero:Falso]
come nell’informatica, ammettiamo per un attimo che l’umanità che ci circonda
si possa suddividere così e, girando lo sguardo intorno, cerchiamo di
osservare l’humus socio-culturale nel quale quotidianamente ci articoliamo e
del quale, volenti o nolenti, siamo costretti a nutrirci non sempre per
nostra volontà. Consideriamo con attenzione
critica e senza pregiudizi condizionanti il mondo della politica nazionale e
locale, la pubblica amministrazione, la scuola, la sanità e tutte le altre
istituzioni, nessuna esclusa; esaminiamo con occhio attento il mondo del
lavoro, gli organismi finanziari, le commissioni dei concorsi, le
associazioni di qualunque genere, tutto ciò che, in definitiva, fa parte
della vita dell’uomo e ne condiziona gli eventi e gli sviluppi. E dal momento che tutte queste
cose son fatte di persone, collochiamo, ciascuno nel proprio contesto cittadino
o di quartiere, ma con mente matematicamente asettica, gli “sbirri” da una
parte e dall’altra i “non sbirri”. Dopo averli attentamente contati (e
identificati, se è possibile) e dopo aver determinato le grandezze dei due
gruppi, giusto per non rimanere esclusi dal consorzio umano, stabiliamo a quale dei
due pensiamo di appartenere, astenendoci da qualsiasi considerazione di
convenienza o di utilitarismo, che il linguaggio binario non conosce proprio
per non creare confusione. Non esiste il “Quasi”
[Quasi 1: Quasi 0 = Quasi vero:
Quasi falso]. Non è ammesso, pertanto, sistemarsi a cavallo sul confine e
scivolare da una parte o dall’altra secondo i giorni della settimana. Avremo, così, compreso se la
nostra è una vocazione maggioritaria o minoritaria, rivendicando o meno il
pieno diritto di sfilare in piazza con cartelli e striscioni. Oltre tutto,
avremo reso un servigio alla nostra coscienza, che di fronte all’ipocrisia si
lascia andare, solitamente, ad un gesto di raccapriccio. Questa dovrebbe essere la lezione
di Locri: fare chiarezza con se stessi, senza urli esibizionistici o silenzi
pusillanimi; identificarsi come cibo indigesto per gli appetiti mafiosi di
grande o piccola entità, oppure come morbidi bocconi per le iene che popolano
il sottobosco dell’umanità. Come sempre e dovunque, la vita è
fatta di scelte spesso coraggiose. C’è da dire, purtroppo, che don Abbondio
non vive solamente tra le pagine manzoniane. Luigi Parrillo |
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