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12 ottobre 2015

 

 

La mossa del cavallo

La metafora non attiene al bipede equinizzato dalla chiassosa zoofilia popolare in concomitanza con ogni scontata campagna elettorale amministrativa; né intende solleticare il gusto letterario degli estimatori di Andrea Camilleri. È, molto più semplicemente, la descrizione della strategia scacchistica che consiste nel fare due “passi” avanti e uno di lato come il cavallo del celebre gioco, che si dice inventato in India, ma pervenuto in Europa intorno all’anno 1000.

I nostri amministratori sembrano abili imitatori di questa strategia di gioco. Essi, infatti, avanzano spesso proposte talvolta improponibili (perdonate il bisticcio) per poi farsi di lato e defilarsi nel momento delle inevitabili contestazioni. Il farsi di lato, naturalmente, comprende anche il tacere “scientifico”, il non rispondere come se essi fossero completamente estranei ai problemi che si pongono in essere.

La cosa si presta ad una doppia interpretazione:

1.      Se ne vergognano e, quindi, cercano di non rigirare il mestolo nell’intruglio contaminato o maleodorante.

2.      La decisione non appartiene loro, ma è la solita imposizione, che evidenzia e mortifica ulteriormente la loro debolezza e in ordine alla quale non possiedono argomenti, perché non scaturita dalle loro teste bensì appartiene al repertorio delle discutibili furbate del solito stratega.

Fatto sta che le opposizioni denunciano silenzi colpevoli ed indifferenze non meno irresponsabili. Si ha un bel da fare a ricorrere ad interviste, in calce alle quali rispuntano le solite firme riesumate dalle nebbie di un passato recente.

Abbiamo letto con estrema attenzione la quasi paginata delle “cronache del Garantista” e sono stati proprio gli ultimi cinque o sei righi delle quattro colonne di quell’intervista ad indurci a ricorrere alla metafora della “mossa del cavallo”:

Sono i responsabili dei servizi che risultano appunto “RESPONSABILI” delle argomentazioni fornite ed, eventualmente, delle carte non consegnate immaginando un ritiro pro manibus e non una consegna ufficiale.

L’indirizzo politico, però, attiene agli amministratori eletti. Sono questi che danno le direttive in base alle quali i responsabili dei servizi orientano il proprio operato, nel rispetto delle norme generali che nessun indirizzo politico può trascurare o non osservare. E il ruolo delle opposizioni si concretizza proprio nella verifica dell’osservanza delle norme generali e nella individuazione delle eventuali responsabilità nella malaugurata ipotesi che vi siano state delle trasgressioni o, caso possibile, una non perfetta interpretazione delle stesse.

C’è poco da risentirsi di fronte al democratico controllo del cui diritto le minoranze sono legittime titolari e depositarie. Né sarebbe possibile chiudere le porte in faccia a meno che non si voglia risultare colpevoli di sprezzo della democrazia o seguaci di quella religione padreternistica che da qualche parte si vorrebbe che serpeggiasse.

Certo, il dialogo è importante, ma non solo all’interno dello scacchiere politico che determina la composizione del consiglio comunale. Un dialogo costante ed autorevole si imporrebbe, per esempio, con quelle istituzioni parallele, ma non assolutamente autonome nella determinazione delle scelte che ricadono sul benessere sociale, al fine di rendere meglio vivibili le quotidiane attività umane e meno incerte nella loro futuribilità. Il soggiacere inerti e distanti non fa onore a chi crede che il dialogo (quand’anche sostenuto e sottolineato nella graduazione dell’autorità) sia utile al superamento dei problemi della società.

Qui, la “mossa del cavallo” non funziona. Anzi, potrebbe determinare la perdita della sfida attraverso lo scacco al re.

Pardon! Alla regina.

Luigi Parrillo