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La città politica (e non solo) alla luce del pensiero divergente |
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13 agosto 2015 Il vuoto oltre il silenzio Polis, politeia, politica; dalla
Grecia antica ad oggi questi stilemi risuonano nel lessico quotidiano ad
indicare il rapporto tra le comunità, comunque organizzate ed evolute, e la
élite chiamata a deciderne e guidarne le sorti secondo schemi sociali (o
socioculturali) condivisi e accettati dalle comunità medesime. Si tratta di un rapporto complesso e difficile da gestire
perché affidato all’uomo nelle sue poliedriche sfaccettature, non sempre
perfettamente aderenti tra esseri diversi nella loro originalità. Ed è proprio nella difficoltà di far aderire tra loro con un
maggior numero di contatti le numerose facce dei poliedri umani, che si gioca
la scommessa che le élite (o leadership che dir si voglia) tentano di vincere
ad ogni costo, spesso barando e conferendo al gioco uno squilibrio che, nella
storia, ha determinato sommovimenti pagati, quasi sempre, con tributi onerosi
di sangue umano. Oggi, questo gioco delle parti variamente colorato, in senso
reale e in senso metaforico, tende a decolorarsi, a sbiadire, a perdere di
interesse fino a lasciare che una delle parti in causa perda completamente la
carica agonistica che rende viva la partecipazione. E l’esito di tutto ciò
risulta inevitabilmente il “non gioco”, ossia il fatto che una delle parti è
costretta a giocare unicamente con se stessa, vincendo e perdendo nello
stesso tempo. È quanto sta accadendo nella nostra piccola realtà cittadina.
Il 30 luglio scorso, la seduta consiliare è stata tenuta senza che una sola
persona assistesse allo svolgersi dell’assise nella quale si discutevano
problemi di interesse pubblico come, del resto, in ogni seduta di consiglio
comunale. Basta dare un’occhiata alla foto che correda questo motivato
commento - e che, anzi, lo ha ispirato - per rendersi conto dello scollamento
totale tra la politica e il cittadino. Quest’ultimo si ricorda della politica
solo quando essa investe l’interesse spicciolo, che tenta di risolvere non
attraverso i canali istituzionali e le norme che li regolano. Egli fa
ricorso, semmai, a manovre di piccolo cabotaggio; piccolo quanto la
dimensione e la caratura politica del faccendiere di turno che, spesso,
calpesta e prevarica il diritto di un soggetto terzo per dare “soddisfazione”
al cliente dell’ultima ora, utile idiota per tenere in piedi personaggi
discutibili e discutibilmente venerati come onnipossenti. Cosa può importare a questa gente del dibattito consiliare? E,
d’altra parte, come può una discussione, che ormai si rivela di valore
politico pressoché nullo, catturare l’interesse di chi guarda alla politica
con il dovuto rispetto? Ora, quale, tra queste due categorie di cittadini, è più
incline all’astensione nel momento del voto e quale, invece, vende il proprio
consenso, che dovrebbe essere dignitoso, al mercato delle coscienze? L’una e
l’altra categoria, probabilmente, non contribuiscono alla crescita integrale
della comunità nella quale vivono. Tuttavia, non prendendo coscienza
dell’oggettiva importanza della dimensione politica della vita attraverso una
rivisitazione culturale della profondità dei concetti di polis, politeia e politica citati in premessa, sviliscono il
proprio ruolo di cittadini consapevoli e non effettuano scelte personali
convinte, ma i primi obbediscono ad un servilismo antistorico e poco
dignitoso, i secondi reagiscono in maniera istintivamente negativa alle
manifestazioni degradanti della politica deteriore. Ecco, quindi, come taluni vincitori della competizione
politica locale, che vediamo, timidi ed impacciati (tranne qualcuno), assisi
intorno al travertino che ricopre il tavolo campeggiante al centro dell’aula
consiliare, somigliano straordinariamente ai “vinti” che caratterizzano le
trame dei romanzi di Giovanni Verga. Personaggi che pensavamo di aver
relegato per sempre nei ricordi letterari dei nostri studi superiori o nei
film neo-veristi della metà del novecento. Eccoli, invece, nonostante gli smartphone
e i tablet di ultima generazione esibiti con tanta
vanesia, risultare vittime della loro stessa vanità, sotto la quale
soccombono per imposta sudditanza e per debolezza interiore. Questo, evidentemente, percepisce il cittadino che non
frequenta più i luoghi della politica, che diserta le sedute consiliari, che
utilizza con furberia servile i personaggetti in
auge al momento, salvo a buttarli a mare appena la sorte non li autorizza più
a salire con esibito sussiego i gradini di Palazzo Santa Chiara. Ma tant’è! E il futuro della nostra città si immagina sempre
più nero ed incerto. Luigi Parrillo |
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