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La città politica (e non solo) alla luce del pensiero divergente |
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10
gennaio 2015 Calabro “stil novo” Siamo alle solite. Nell’oceano degli inciuci, la Regione naviga a vista
manovrando di piccolo cabotaggio, ovvero sotto costa, come l’ultimo scorcio
di viaggio della Costa Concordia. Nel salone delle feste si incrociano danze
e spintoni. Tuttavia, l’atmosfera è gentile, sempre più gentile. I giornali godono, hanno di che scrivere. E la gente ha di che
leggere, mentre medita di ingrossare le fila degli astensionisti nella
prossima tornata elettorale. In piazza, si sprecano le battute ironiche e i telefoni
cellulari impazziscono sotto un passa-parola curioso e pettegolo. Tutti hanno
i numeri di tutti e si confondono come il senso politico di una generazione
in caduta libera verso un nichilismo senza pari. Si ride, incoscientemente, del dramma ideologico che
scaturisce dalla massificazione del pensiero favorita da innumerevoli
fattori, tra cui l’occupazione che non c’è e il conseguente sfruttamento del
bisogno, il quale limita le libertà individuali fino ad asservirle ai
faccendieri piccoli e medi che infestano il nostro territorio. Le parole, crudamente disgiunte dalla grammatica e dalla
sintassi, non hanno più senso e precipitano, una sull’altra, da volti
inespressivi come maschere da commedia dell’arte dai ruoli indefiniti e
intercambiabili alla bisogna. Non ha senso neppure la collocazione in
palcoscenico: davanti, dietro, a destra o a sinistra sono convenzioni per gli
stupidi. Ciò che conta è starci dentro. Ma ciò che conta di più è ingannare lo spettatore. Il quale,
prima o poi, deciderà di non pagare più il biglietto, visto il monotono
ripetersi dello spettacolo, che non dà più emozioni: è prevedibile, scialbo,
elementare, infantile, talvolta disgustoso. In un quarto d’ora, è stato esaurito un
copione probabilmente già scritto da tempo, mentre noi, comuni mortali e
sfortunati elettori, disegnavamo, con la ingenua fantasia di incorreggibili
onesti, panorami di novità illuminanti per questa Calabria travolta dal
calabresismo politico degli ultimi decenni. Avessimo avuto, oggi, i poeti straordinari
del trecento letterario, essi avrebbero cantato non già l’amor cortese del dolce stil novo, ma l’amorazzo bruto dai facili orgasmi
fedifraghi che nulla ha di dolce o di cortese. Avremmo avuto sonetti
composti, più o meno, così:
Tanto Gentile… Tanto Gentile e poco onesta pare la mia Calabria
che s’inchina e prostra a chi la fa
girar come una giostra che niuna lingua
ardisce raccontare. Essa ristà,
sentendosi oltraggiare, indegnamente prona ed
umiliata; e par che sia
cosa creata per farsi
impunemente castigare. Mostrasi compiacente a
chi la guasta, che dà, per gli
occhi, una tristezza al core ch’intender non la può
chi non la prova; ma forse in
fondo all’anima si trova un pensiero
nutrito dal dolore che dice
prepotente: «Adesso basta!» Ci perdoneranno i cultori di Dante per la
parodia irriverente, che non credo rappresenti un oltraggio più grave di
quello che alcuni elettori calabresi potrebbero subire dalla classe politica
che ha eletto con il cuore aperto alla speranza. Non ci rimane che attendere. Attendere
sviluppi che si preannunciano carichi di incomprensioni e forieri di
criticità, tanto per dare alla regione e alla sua classe politica nuovi alibi
per la perpetuazione di quei consolidati standard di governo, che la rendono
ultima nel panorama italiano ed europeo. Spero, nel profondo dell’animo, di risultare
cattivo profeta; ma l’antica saggezza popolare, che la Calabria sembra avere
smarrito, ci ricorda che il bel tempo si preannuncia dal mattino. Luigi Parrillo |
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