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San Marco Argentano - Polis

 

 

 

17 maggio 2014

Ospedale? Proibito parlarne

(ovvero, la catechizzazione sottile)

 

Non si deve parlare di ospedale in questa campagna elettorale! È questo l’imperativo categorico impartito da alcuni settori politici.

“L’ospedale ormai è chiuso definitivamente, non serviva a nessuno, non era utile allo scopo per il quale era nato, era solo un ricovero per vagabondi di piazza che potevano così vagabondare per i suoi corridoi.” E ancora: “Se doveva funzionare come funzionava, è stato meglio che l’hanno chiuso; il personale non era all’altezza della situazione; era solo un luogo dove piazzare gli amici dei politici.”

Questi sono, in sintesi, gli argomenti di quei detrattori che lo criticavano in vita e che oggi giustificano a gran voce la sua chiusura per aver frequentato una specie di “catechismo” sottilmente penetrante, che fa dire a qualcuno, a denti serrati e lo sguardo in tralice: «Parlate di ospedale per accusare chi so io, perché siete avvelenati dall’odio.»

Non si tratta del copione di una telenovela di quart’ordine. È una conversazione reale della quale mi è capitato di essere testimone, che riferisco non nei termini esatti, ma nello spirito inequivocabile che animava il soggetto osservato, al quale, come si suol dire, avevano rubato i buoi e sperava, in cuor suo, che qualcuno gli facesse ancora recuperare almeno le corna.

La parola “odio”, pronunciata in quella maniera e con quell’atteggiamento, confesso che mi ha profondamente disturbato nell’animo, sconvolgendo il groviglio delle mie illusioni, tra le quali trovava posto anche quella in base alla quale ho sempre considerato qualsiasi mio interlocutore come un essere razionale e non un sicario potenziale capace di bollarmi come un odioso nemico. Tanto più odioso quanto più ero distante dal condividere le idee del suo Dio in terra.

Un dio, tra l’altro, che lo puniva nella dignità per averlo reso così irrazionale, attraverso una sorta di bassa catechizzazione, praticata a suon di mortificanti elemosine.

Ma torniamo all’ospedale. Un ostacolo per i piani articolati di avidi politicanti. Ci voleva tanto a realizzare il concetto che, per mantenerlo in vita, bastava dimezzare i costi della politica, eliminare i canali di sperpero colmi di consulenze d’oro e di ore fantasma di straordinario retribuito con tariffe da manager, o combattere effettivamente la corruzione per cui un pacco di siringhe fornito all’ospedale costava quanto un’utilitaria?

Oggi, si accorgono della enormità dei rimborsi elettorali e dei finanziamenti ai gruppi consiliari finiti nei mille rivoli di spese inutili e voluttuarie. Il denaro per letti, lenzuola e macchinari non lo si riusciva a trovare, mentre si sperperava in gratta e vinci, cene galanti, alberghi di gran lusso, multe automobilistiche, affitti di appartamenti inutilizzati; e portaborse, portaborse, portaborse, …

Si poteva rinunciare a tutto ciò? Impossibile!

Allora, come fare? Chiudiamo un ospedale e manteniamo i privilegi!

Eh sì! Perché l’ospedale, a detta di qualcuno era un ramo secco. Ne volete le prove? Ecco, allora uno stralcio della seduta di consiglio Regionale del 28 novembre 2011:

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Che ve ne pare?

Allora, da quale parte sta l’odio (se di odio bisogna parlare) verso i cittadini privati proditoriamente di un servizio, che tante vite ha salvato negli anni in cui ha funzionato egregiamente?

Chi ha dimostrato odio verso la propria città, spogliandola di tutte quelle strutture e quegli apparati pubblici che le rendevano il centro più importante dell’hinterland?

Io, per indole e per formazione culturale, non riconosco odio nell’animo di alcuno. Individuo, però, colpe gravi e responsabilità pesanti in taluni comportamenti. Questo sì! Ed è sulla considerazione di queste cose che mi figuro l’immagine delle persone verso le quali indirizzo o distraggo la mia stima.

Il resto riguarda la coscienza di ognuno.

Luigi Parrillo