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8 aprile 2014 “Le
mani libere per inciuciare” Si sa che in periodo elettorale tutto diventa mobile,
effervescente, imprevedibile, sovvertibile fino all’ultimo momento. Si
sfiora, in pratica, il confine con l’irrazionale. A ciò contribuiscono i rapporti interpersonali con gli storici
avversari politici, i quali, spesso, sono amici sul piano umano e che, tranne
qualche eccezione, riescono a tenere disgiunto l’interesse politico e la
vicinanza amicale come persona. A chi scrive è accaduto, qualche decennio fa, di dover
contrastare con forza e con vigore (talvolta con doverosa asprezza), amici
che aderivano ad altra fede politica, che mai avrebbe inficiato la stima e il
rapporto emotivamente importante che ci legava come uomini degni di
condividere civilmente il contesto sociale. La regola era: amici si,
però…! Erano i tempi in cui facili dimissioni e comode
autosospensioni sembravano fenomeni di un altro pianeta. I fondamenti
politici delle nostre conversazioni non venivano mai messi in discussione,
tranne qualche fenomeno che ancora sopravvive e si manifesta con prepotenza.
L’adesione ad una corrente di pensiero era il presupposto fondamentale perché
ci si aggregasse e si conducessero battaglie sociali ed amministrative, che
fossero in rigoroso parallelo con il fondamento socio-politico di base. Nei comizi, nei consigli comunali, il linguaggio era elevato
politicamente (non necessariamente aulico ed erudito). Le motivazioni dei
gesti amministrativi facevano capo ad esigenze generali di intere comunità e
solo raramente sfioravano interessi tribali o familiari. Poi, l’ambiente prese ad
inquinarsi, lentamente, ma progressivamente, fino al decadimento dei nostri
giorni in cui si “festeggia” il matrimonio indissolubile tra povertà di
linguaggio e miserie amministrative. Fanno da testimoni i partiti in
dissoluzione a causa di una “chimica” politica selvaggia [alchimie che hanno
irrimediabilmente contagiato anche le periferie] alla ricerca di nuovi
prodotti “ad familiam”,
elaborati in circoli svuotati di ogni significato socio-politico serio, e
contrabbandati come panacee socio-economiche a masse credulone in via di
assottigliamento. Il diktat di un tempo “prendere o lasciare” oggi si traduce in
“prendere e lasciare” a seconda
delle convenienze o di personalissime opportunità. «Avere la mani libere per inciuciare»
sentivo dire in piazza non più tardi dell’altro ieri. Sulle prime, mi sono
indignato per l’affermazione riferita a persona amica. Poi, ci ho riflettuto
sopra e lo sdegno si è affievolito. Leggendo il
giornale stamattina, ho smesso di pensarci su. Ma la gente, quella per bene, cosa pensa di tutto questo bailamme? È un interrogativo che mi
intriga. Avrei la curiosità (legittima, d’altronde) di capire quale effetto
produce nelle persone di buon senso tutto questo strano manovrare messo in
atto per sostenere un nome ed un cognome che non sono ancora legati ad un
progetto concreto per la città. È come se qualcuno subisse il fascino
irresistibile di un dato anagrafico (nome e cognome) a volte neppure così
artisticamente significativo o musicalmente armonioso. Valla a capire certa
gente! Ti sorridono dalle pagine dei giornali con la complicità di
qualche articolista svogliato. Che cosa avranno da ridere non si capisce
bene. Chi ride di gusto, invece, è la piazza, depositaria di umori
sfaccendati e di intrighi pettegoli. Noi, che abbiamo a cuore il futuro della
città, ridiamo meno. Ci rattristiamo, semmai, per tutte le capriole
funamboliche di cui si stanno rendendo protagonisti alcuni “personaggi” che
si ritengono adatti a dirigere le sorti del paese. È questa
autoreferenzialità che ci rattrista¸ questo invocare la solidarietà popolare
come se la gente vivesse nella bambagia e non avvertisse il disagio di questo
teatrino che richiama le commedie di Peppino De Filippo prima maniera. Roba da far invidia a Cetto La
Qualunque. Luigi Parrillo |
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