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novembre 2014 Campagnola
bella Mi
ripugna un po’ distinguere i cittadini attribuendo loro autorevolezza o meno
per la loro collocazione topografica; ma, visto che per essere apprezzati in questa
città bisogna far ricorso a questi schemi socio-culturali da medioevo,
cercherò di adeguarmi, non senza farmi violenza, alla maniera di ragionare
dei maggiorenti politico-amministrativi in auge in questo momento storico a
San Marco Argentano. E forse anche della maggior parte dei cittadini, visto
che li hanno gratificati di un consenso addirittura insperato da loro stessi. Partiamo, quindi, da una premessa essenziale. Osservando
attentamente la composizione del consiglio comunale, notiamo una nutrita
presenza di donne quasi tutte provenienti da territori periferici del comune.
Si dedurrebbe, da questo dato, che esse siano più vicine di altri agli
elementi della natura e che abbiano in animo, meglio che altri, la sua
conservazione in termini di integrità e di non contaminazione. Ecco, pertanto, il riferimento, abbastanza scontato nel
titolo, alla vecchia canzone che inneggia alla campagnola bella,
simbolo di quella bella e onesta semplicità attribuita alla ragazza di
periferia definita “reginella campagnola” da Eldo Di
Lazzaro, autore dei testi per la musica del compianto maestro compositore
Bixio Cherubini. Una canzone che, partendo dal folklore abruzzese, colonizzò
abbondantemente il folklore italiano con la sua orecchiabilità e la sua
popolarità. Tutti
ne ricordano il ritornello, che sottolinea ripetutamente la bellezza della reginella
della valle in fiore. Ora, le valli calabresi non hanno nulla da
invidiare a quelle abruzzesi, a parte le poetiche descrizioni dannunziane,
anche se quella piccolissima del Fullone è di secondaria importanza dal punto
di vista turistico, ma non da quello ambientalistico. Perché, dunque, metterne a rischio l’equilibrio biologico e la
bellezza naturale attraverso stragi di vegetazione importante, più o meno
autorizzate, forse ignorate, forse condivise, certamente trascurate nella
loro gravità dalla colpevole indifferenza di quanti (troppi, ahimè!) vedono e
tacciono? Pochissime voci hanno timidamente sollevato il problema
temendo che una sconsiderata operazione di disboscamento selvaggio mettesse
in serio pericolo la propria incolumità. Solo le reginelle di Palazzo
Santa Chiara hanno sottaciuto lo scempio che si stava perpetrando nella valle
in fiore. Si! “In fiore” quando prati di
ciclamini, all’ombra
degli alberi secolari, oggi crudelmente abbattuti, facevano da tappeto
alle umide sponde del Fullone che lunghe e robuste radici trattenevano
tenacemente. Adesso, che tipo di fiore ricorderà la gente
associandone l’immagine al corso di questo fiume, che molti autori citano
quando si parla delle origini e della nascita della nostra città? Tra
gli altri, ricordiamo lo scomparso prof. Antonio Guaglianone,
latinista, poeta e sammarchese appassionato, che a questo fiume affidava il
proprio amore e il proprio dolore: «Son ritornato Alle tue acque, Antico fiume, Per obliare Il tempo. Fiorisce ancora Ai vecchi Sassi La tua acqua e va. Ma la mia Pena Sbatte a fondo E resta.» (A. Guaglianone - I Giorni non Perduti - Tip. G. Pipola – Napoli) Sciocche romanticherie? Forse si. Ma non sono da preferire al pragmatismo monetizzante di quanti
guardano alla natura come fonte di sfruttamento indiscriminato, che produce
vantaggi immediati per pochi e, in prospettiva, danni incommensurabili per
molti? Infine, romanticheria per romanticheria, nonostante sia già
troppo tardi poiché il danno è stato fatto, consiglieremmo a qualche
consigliera, dopo aver adottato un cane ed un’aiuola, di mettere in campo un
progetto assolutamente utile e salutare:
“Adotta un albero”! Luigi
Parrillo |
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