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San Marco Argentano - Polis

 

 

 

13 agosto 2013

Campa cavallo…..

 

“L’Ora della Calabria” è lapidaria e perentoria. Il corrispondente non ha dubbi: «Termine ha le ore contate…». Poi, nello scorrere delle parole sul foglio, i nomi di chi dovrebbe decidere la sorte di questa travagliata amministrazione si rincorrono, salvo rare eccezioni, in un gioco senza regole, senza volontà e senza capacità decisionale. C’è chi dice, chi non dice tutto, chi sussurra per non essere sentito perfettamente, chi vorrei, non vorrei, ma se poi…?

Descrizione: Termine-Alberto--Def_04Si ha l’impressione (smentitemi se sbaglio) che qualcuno, alla fine, dovrà dare l’imprimatur, ovvero l’approvazione definitiva a tutta l’operazione. È come se ci dovesse essere un lampionaio magico, opportunamente mimetizzato nell’ombra, che dovrà, d’autorità, spegnere l’ormai fioco lumicino che rischiara appena i residui personaggi di una notte di quattro anni fa, quando un esagitato trionfo urlato nello slogan - ahimè, fallimentare - «Unione e Cambiamento», salutava speranzoso la rinascita della città. Era il delirio di una folla oggi precipitata nella delusione più profonda.

Termine è stato trascinato più volte sull’orlo del baratro. E altrettante volte ha trovato una mano tesa che lo ha messo al sicuro dalla caduta definitiva. Ho il vago sospetto che, anche stavolta, per una ragione o per un’altra, a qualcuno mancherà la forza di spingerlo giù.

È troppo variegato il panorama consiliare; sono troppe le sfumature di colore che rendono difficilmente distinguibili posizioni ed interessi. Le particelle che lo compongono si spostano con tale rapidità nel mucchio in movimento, che a beccarne una ci vuole un bel po’ di fortuna. O un’esca accattivante.

E c’è chi possiede l’una e l’altra.

«Molti sindaci si sarebbero dimessi per molto meno» scrive il corrispondente del quotidiano diretto da Piero Sansonetti. E ricorda per sintesi estrema i passi scomposti del balletto ridicolo con cui si è dato spettacolo già dagli albori di questa amministrazione comunale, senza che il sindaco battesse ciglio o se ne adombrasse. È sempre rimasto lì, come una statua di sale, pronto ad obbedire alle opportunità che da qualche parte gli venivano prospettate, non senza un pizzico di spregiudicatezza. Spostava le tessere del suo mosaico in maniera acritica e proditoria, come se obbedisse ad un volere superiore che non poteva discutere. Tanto, la faccia ce la spendeva lui.

Oggi è cambiato qualcosa? Parrebbe di no.

Tuttavia, a furia di gridare «Al lupo, al lupo» con questi chiari di luna, chi può dirlo con esattezza?

Luigi Parrillo